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Capitolo23

Alfonso d'Agostino

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capitolo23

(In effetti, non è mica detto che i romanzi conte (In effetti, non è mica detto che i romanzi contenuti nella lista dei 1001 libri da leggere siano necessariamente imperdibili).

Mettiamola così: non avessi il dubbio di essermi perso qualcosa io, avrei passato le ultime due notti a domandarmi come sia stato possibile per questo romanzo breve di John Buchan approdare in una lista che – ai tempi della sua uscita, ormai distante – aveva suscitato giusto qualche polemica per delle esclusioni eccellenti. Dubbio, tra l’altro, pesantemente nutrito dalle numerose trasposizioni cinematografiche che si sono succedute negli anni, la prima delle quali a firma udite-udite-udite di Alfred Hitchcock, che di thriller e spy stories ci capiva sicuramente un pochino più di me.

Ma tant’è; l’ultima volta che ho controllato, Hitchcock su questa pagina non aveva un account e quindi eccomi qui che me ne f8 e sottolineo che “I 39 scalini” mi ha fatto sbadigliare un bel po’.

Trama zoppicante, ricca di passaggi decisamente forzati che mi avrebbero fatto gridare allo scandalo se non si trattasse di un testo del 1915, quando la letteratura di genere (o “elementare tipo di narrativa”, come la auto-definisce lo stesso autore nella dedica ad un amico) aveva appena emesso i primi vagiti.

Incontri fra personaggi e successivi dialoghi altrettanto rivedibili, in una successione di incroci di storie umane che vanno dal palesemente improbabile al “talmente assurdo che ne sorriderò”.

Action – direbbero gli sceneggiatori – che farebbe sospettare la parodia, se non fosse che in sottofondo si avverte quell’aria di “fingo di farlo per divertirvi conoscendone l’effetto, ma comunque per me è una roba seria” che mi infastidiva in terza media, immaginati ora che di pagine sotto i ponti ne son passate.

Infine, uno schema narrativo davvero poco efficace, fondamentalmente basato sullo schema “protagonista in fuga –> incontro con un salvatore spesso poco conscio –> momento di riflessione e di pianificazione della –> nuova fuga e si ritorna al primo punto”.

Diciamo che ho messo una spunta verde su una riga della lista, e a posto così.

#leggere #1001libridaleggereprimadimorire #johnbuchan #i39scalini #letture #spy
(Continuo a essere debitore a Giorgio Ballario per (Continuo a essere debitore a Giorgio Ballario per aver fatto incrociare al protagonista dei suoi romanzi la figura storica del Tenente Amedeo Guillet. Da “Le rose di Axum” a “Amedeo. Vita, avventure e amori di Amedeo Guillet” il passo è stato breve, da quest’ultimo a “La guerra privata del tenente Guillet” direi altrettanto.)

Confesso di essermi dato una pacca sulla spalla da solo: di solito quando mi prende una curiosità viscerale per un argomento o – come in questo caso – per una figura storica realmente protagonista di un pezzo di storia del nostro paese, le letture di tomi su tomi diventano incontrollabili e continue, e devo ammettere che anche la mia capacità di fare conversazione si affievolisce nella mono-tematicità: MoglieRiccia ne è conscia e sopporta, ma in questo caso sono riuscito a fare passare quasi un anno intero fra i racconti derivanti dalla lettura di “Amedeo” e quelli che arriveranno adesso che ho terminato “La guerra privata del tenente Guillet”. Quindi, se mi stai leggendo, sappi che stanno arrivando.

“La guerra privata del tenente Guillet” si concentra, come intuibile fin dal titolo, sulla resistenza messa in atto dietro le linee nemiche da Amedeo Guillet e dalla banda di combattenti locali rimasti fedeli al Comandante Diavolo nel corso della seconda guerra mondiale. Una fedeltà all’uomo prima che all’ideale o a una nazione che molti dei guerriglieri avrebbero faticato ad indicare su una mappa: Guillet riusciva a miscelate quasi miracolosamente rispetto e carisma, autorità e condivisione, e questa sua capacità di leggere gli animi sarebbe poi stata decisiva nella carriera diplomatica dopo la guerra.

Ma il termine che più mi ha dominato durante la lettura è stato “cavalleria”, nel suo duplice significato. Da una parte, descrittivamente, Guillet comandó certamente le ultime cariche a cavallo nella guerra in Africa e probabilmente le ultime della Storia. Dall’altra, i riconoscimenti ricevuti dal nemico, durante e dopo la fine del conflitto, riportano alla memoria momenti di storia antica, sprazzi di umanità nei contesti della tragedia più antica, ripetuta e stupida del nostro percorso di esseri viventi. #amedeoguillet #storia #leggere
Nasciamo tutti, direi senza eccezione, lettori di Nasciamo tutti, direi senza eccezione, lettori di libri usati: li scopriamo sugli scaffali di casa, transitati da occhi e pupille di genitori o fratelli/sorelle più grandi, ordinati in un modo che si sembra misterioso e che fatichiamo a rispettare, una volta completata la lettura, perché non capito.

Poi, se ti prende la passione per oggetti certamente dotati d’anima che ti trascineranno nello spazio e nel tempo, cominci a farti la TUA personalissima selezione, papà aggiunge qualche scaffale in camera, poi cederà alla necessità di una/due/tre librerie, a rubare spazio agli armadi. E siccome i soldi della paghetta quelli sono, se sei fortunato nella tua città ci sono librerie “remainders” (quando sono arrivato a Milano si diceva così, e ci si riferiva a uno spazio su due piani ormai scomparso in piena Galleria). Ci ho passato interi pomeriggi, ricordo istanti di rivelazione.

E ricordo di essermi domandato come ci arrivassero lì, quei libri. Immaginando magazzini e patrimoni perduti, separazioni sofferte ed eredità non volute.

Giovanni Spadaccini in “Compro libri anche in grandi quantità” racconta come i libri finiscono nel circuito dell’usato: è la storia di vite perdute, di biblioteche smembrate, di anziani che vorrebbero lasciare un segno nel mondo, di eredi litigiosi, di scoperte fortunate, di polvere e schiene doloranti, di segnalibri. Sono pagine che inteneriscono, a volte divertono, più spesso commuovono (su un Diario ho singhiozzato un po’). Memorabile.

E poi c’è il fatto che Spadaccini racconta e quindi consiglia, quasi inevitabilmente e quasi per inciso: mi sono appuntato alcuni titoli e autori che non conoscevo, li comprerò usati, ci mancherebbe altro.

“Compro libri anche in grandi quantità” è, infine, un bellissimo prodotto editoriale: magnifica sopracoperta, splendida copertina, carta godibile, font e spaziature che agevolano la lettura. #libri #leggere #libriusati #comprolibriancheingrandiquantità #utet #giovannispadaccini #librisulibri #bookstagram #instalibri
Chi ascolta Indagini, il podcast di Stefano Nazzi Chi ascolta Indagini, il podcast di Stefano Nazzi pubblicato da Il post, e non ha letto “Il volto del male” sentendo nella sua testa la voce dell’autore, semplicemente mente. E’ un effetto noto anche ai lettori di Costa e che non mi ha invece colpito leggendo Lucarelli, fondamentalmente perché ho iniziato a vederlo in tv un bel po’ di tempo dopo averlo iniziato a leggere (poi è subentrata l’impressione di leggere “paura, eh?”, ma questa è un’altra storia ancora).

Ecco, a proposito di Lucarelli e della sua opera, i lettori che ne hanno seguito la carriera non-giallista – declinata in libri che hanno raccontato la cronaca nera italiana dell’ultimo secolo – vivranno con Nazzi una certa esperienza di deja vu, perché naturalmente i casi raccontati non possono che essere quelli che hanno più fortemente colpito l’opinione pubblica. Se poi vi drogate di serie TV sulla stessa tematica storica (“Crimini”, “Delitti” e via dicendo), e su qualche caso specifico avete già affrontato altre letture (come l’ottimo “Diciassette omicidi per caso” di Ilaria Cavo sulla vicenda di Donato Bilancia), il rischio di avvertire il racconto di Nazzi come una rilettura diventerà oggettivamente piuttosto forte. 

Il che non toglie che: 

1. se siete più a digiuno di me, troverete intrigante l’ottima narrazione e lo sguardo sul dolore e sul male di cui siamo capaci in quanto essere umani; 

2. nelle cronache di Nazzi riconosco un approccio pervaso da una enorme umanità, che si concretizza anche in una attenzione piena di delicatezza nel non lasciarsi andare alla descrizione di una certa morbosità a cui – su altri strumenti di comunicazione e in funzione attiraclick – siamo purtroppo sempre più abituati

3. Indagini è un podcast magnifico e se non lo conoscete lo consiglio spassionatamente. 

#leggere #letture #stefanonazzi #ilvoltodelmale #instabook #instabooks #instalibro #bookstagram #cronacanera
I ggggiovani direbbero che ho una crush per la scr I ggggiovani direbbero che ho una crush per la scrittura di Cognetti (no, sono abbastanza sicuro di aver sbagliato la formula con cui lo direbbero, ma insomma credo sia chiaro). Sarebbe anche un momento editoriale perfetto per parlarne, visto che è in uscita sulla tv satellitare il film tratto da quell’incredibile romanzo che è Le otto montagne (anche se io ho una crush per la Sofia di Sofia veste sempre di nero, e sulla forma dell’espressione utilizzata vedi sopra…). 

La realtà è che “La felicità del lupo” mi ha atteso pazientemente sullo scaffale per un po’ di tempo, con lo sguardo buono e la pazienza di un vero amico. I libri di Cognetti sono così: hanno un carattere, dei sentimenti, respirano. E attendono, quando è il caso di attendere. 

Deve essere (anche) per questo che cominci a leggere e inizia un dialogo: con “La felicità del lupo” abbiamo parlato di amori finiti, di fuga dalla città, del silenzio della montagna, di profili frastagliati che prima chiudono e poi spalancano l’orizzonte, di vite che si intrecciano misteriosamente, di incomprensioni umane, di alberi che parlano. Ne abbiamo parlato sussurrando, con l’intimità che ti concede una storia che non sarà mai esplosiva e che - forse anche per questo - ti scivola sotto la pelle e rimane lì, e si riaffaccia durante la giornata quando meno te lo aspetti. 

Fausto e Silvia, principali protagonisti del romanzo, continuano a sussurrarmi la loro storia, anche adesso che ho mestamente finito di leggere. E mi hanno detto di salutarvi caramente, e che vi aspettano. 
#paolocognetti #lafelicitàdellupo #leggere #libri #libridaleggere #bookstagram #booklover #lettura #instabook #instalibri #libriconsigliati
Una volta mi dicevo “Distopia, portami via”, q Una volta mi dicevo “Distopia, portami via”, quando iniziavo a leggere un romanzo appartenente a un genere letterario che mi aveva affascinato parecchio e trascinato con la fantasia in mondi uguali al nostro eppure profondamente diversi.

“Il muro”, attraverso la voce narrante del suo giovane protagonista, mi ha riconciliato con un genere letterario: Lanchester immagina una gran Bretagna futura di un mondo che è stato sconvolto da uno o più eventi non perfettamente declinati ma che hanno certamente a che fare con la crisi climatica e che vanno sotto l’immaginifica definizione de Il Cambiamento. E il modo migliore che l’Union Jack ha trovato per assicurarsi un futuro di sicurezza e prosperità è stato quello di costruire un immenso Muro di 10.000 chilometri sulle sue coste, perfettamente a picco sul mare e quindi particolarmente semplice da difendere. 

Siccome però la storia ci ha insegnato che strutture architettonico-militari anche imponenti non sono sufficienti, ecco che a presidiare il Muro sono chiamati tutti i cittadini britannici di maggiore età, costretti ad un periodo di leva obbligatoria di due anni da trascorrere ai confini del Regno presidiando la solidità del Muro e respingendo – naturalmente a mitragliate – i tentativi di scalarlo per avere accesso all’isola. 

Da una parte, quindi, i Difensori, chiamati a questo ruolo ad un’età in cui – tra l’altro – risultano particolarmente critici verso la generazione precedente alla loro, quella dei loro genitori e soprattutto quella che ha fott*to definitivamente il pianeta. Dall’altra, quelli che vengono definiti semplicemente “Altri”, uomini e donne disperati alla ricerca di una occasione in un contesto che li attrae nonostante mitragliatrici e riflettori posti a difesa di un territorio quasi inespugnabile. 

A rendere ulteriormente tragico il confronto, una chicca ulteriore: in caso di assalto riuscito e di ingresso irregolare nel Paese, un numero equivalente di Difensori – quelli impegnati nel settore violato – saranno trascinati in mezzo al mare e abbandonati ai flutti su una fragile scialuppa… 

(continua nei commenti)
Ci sono quattro (forse cinque, forse sei) personag Ci sono quattro (forse cinque, forse sei) personaggi principali.

C’è uno scrittore di culto scomparso dalla scena da decenni, in perenne lotta con il romanzo da scrivere da qualche lustro. Un libro che ha terminato, forse, anzi no, come quando hai la tosse e ti sembra di aver finito di far rumore, ma poi senti ancora un po’ di raspino lì in fondo.

C’è un aiutante-amico-tuttofare, uno che ha lasciato andare alla deriva la sua vita e poi se ne è spogliato per dedicarsi a quella dello scrittore, curandone corrispondenza e sopravvivenza.

C’è Karen, che abita nella stessa casa ed è stata sposata con uno sconosciuto in un matrimonio collettivo di un culto coreano (indimenticabili le prime pagine con la cerimonia nello stadio, e quanto mi ha fatto pensare ai primi capitoli di Underworld…) e poi è stata de-programmata.

C’è una fotografa che ha deciso di ritrarre soltanto scrittori.

Ci sono tre ambientazioni principali (una New York all’ombra delle due Torri, ed era il 1991, una Londra che si contorce su se stessa ed una Beirut infiammata dal terrorismo) e c’è uno sguardo che parte dai grandi eventi della Storia (Tienanmen, i funerali di Khomeini) e poi si stringe sulle esistenze dei protagonisti.

C’è una scrittura avvolgente, magnifica, certamente non facile da avvicinare, che dipana davanti ai tuoi occhi tutta la fragilità di una società e tutte le sue infinite contraddizioni: masse che si muovono e individualismo sfrenato, solidità sociale e terrore, necessità di farsi delle infinite domande di senso e paura di trovare una risposta.

DeLillo non è mai semplice da affrontare, hai la costante sensazione che questa volta non ce la farai, che resterai senza finale. Poi alzi lo sguardo e lo punti sull’orologio, son passate due ore, e tu ti rendi conto che non ti capita spesso di leggere pagine che ti cambiano il ritmo del respiro. #dondelillo #maoII #leggere #letture #1001libridaleggereprimadimorire #instabook #instalibri #libri
Si può essere felici di un piccolo errore? Sì, s Si può essere felici di un piccolo errore? Sì, si può.

E io sono felice di aver comprato impulsivamente L’amore di pietra, perché mi appassionano i racconti dei corrispondenti di guerra (Territorio Comanche, ovviamente la Fallaci, la Aleksievic, ...) e ho fiducia assoluta nei tipi della Keller, e la combinazione delle due informazioni non mi ha fatto eccessivamente approfondire la questione prima di portarlo a casa.

C’è scritto chiaramente, eh, bello grande in copertina: “Una vita CON un corrispondente di guerra”, non “DI un corrispondente di guerra”. Ma lo spaesamento mi è durato il tempo di poche pagine, poi è stata solo lettura.

Grazyna Jagielska raccoglie, in questo racconto intimo, i suoi pensieri, indirizzandoceli nel dialogo con i medici che l’hanno avuta in cura e con un paziente della clinica psichiatrica in cui si è ricoverata, dopo una diagnosi di disturbo post-traumatico da stress. Una diagnosi che ti aspetteresti in un reduce o – ancor più giustificatamente – nel marito, che di guerre ne ha raccontate cinquantatré. E invece…

E invece la guerra è talmente orribile da poterti ferire al cuore anche quando la vivi con gli occhi della persona che ami. Quando il suono del telefono fa sobbalzare perché può portare la notizia finale, quella che ti annienterà, e quando ti accorgi che il ritorno di tuo marito è insieme desiderato e temuto, perché vorrà dire nuovi racconti e nuovi silenzi carichi di significato.

Per una banale questione di ruolo, mi sono dovuto confrontare con una figura che nel libro è presente per la sua stessa assenza; ho sentito in alcuni momenti di di doverne prendere le difese, come se questo fosse necessario, e lo scrivo per evidenziare quanto queste pagine hanno inciso nelle mie giornate. Perché in alcune situazioni, come scrive Jagielska, “Il tempo dell’attesa è un tempo strano, fa danni enormi e indelebili, persino se si è capaci di aspettare”. E perché poi, volendo citare i testi che passano per radio e ti fanno canticchiare a bassa voce, e che alla tragicità del conflitto più vicino a noi sono dedicati, "qui non è mai lunedì". 

"L'amore di pietra è stata lettura prima fortuita e poi fortunata. #libri #letture @keller_editore
Dopo le emozioni, variamente distribuite nella sca Dopo le emozioni, variamente distribuite nella scala del dolore letterario ma comunque provanti, derivanti dalle letture di Covacich e Tomizza, mi ci voleva un attimo di pausa. Dortmunder , lo sfortunato criminale nato dalla penna geniale di Donald E. Westlake, si adatta perfettamente allo scopo, e mi premuro sempre di averne almeno un paio pronti sullo scaffale nonostante la difficoltà di reperimento (ComproVendoLibri Santo Subito!). 

L’avventura di “E bravo Dortmunder” nasce, ma guarda un po’, da una rapina finita male che costringe il nostro protagonista ad una fuga sui tetti newyorkesi, con conseguente caduta in un convento e in mezzo ad un gruppo esterrefatto di suore di clausura: dare spiegazioni non è semplice, anche perché le suore seguono uno strettissimo voto del silenzio (interrotto solo per due ore alla settimana) ed il dialogo non può che avvenire attraverso una complicata gestualità ricca di richiami biblici.

Nasce così, e dalla riconoscenza di Dortmunder per la mancata denuncia alla polizia da parte del corpo ecclesiastico, la necessità per l’improbabile banda raccolta dal protagonista di assaltare il grattacielo più protetto della città, costruito e occupato dal più classico dei cattivoni multimiliardari che, tra l’organizzazione di un colpo di stato e altre frivolezze, ha rapito la figlia fattasi suora dal convento per riportarla (imprigionata all’ultimo piano) a casa. 

E, alla fine, non importa chi salverà chi, se e come Dortmunder riuscirà a rimanere lontano dalla prigione e se la banda di suoi sodali si sarà arricchita o meno di un altro paio di indimenticabili personaggi: importa solo che ti sei regalato qualche ora di piacevolissima lettura, che hai ceduto a due o tre risate sguaiate, e che ti sei aggiudicato un paio di ricerche sul web per mettere le mani sui prossimi. #booklovers #dortmunder #donaldwestlake #giallo #gialli #umorismo #instabook #instalibro #libriconsigliati
Non so per quale motivo “La miglior vita” di F Non so per quale motivo “La miglior vita” di Fulvio Tomizza sia rimasto così a lungo sugli scaffali dei libri da leggere, anticipato da altre letture; o forse sì, se voglio provare ad essere onesto com me stesso una spiegazione credo di averla. Più di una, in realtà: da una parte mi pareva di cedere al localismo – cose che faccio spesso e che quindi mi inibisce alla continuità di campanile – dall’altra temevo una edizione e una scrittura di altri tempi, che avesse poco da dire ai miei giorni. 

Mi sbagliavo di grosso. 

“La miglior vita”, romanzo Premio Strega nel 1973, ha moltissimo da dire ai nostri giorni. L’io narrante, il sagrestano della piccola comunità istriana di Radovani racconta la storia del suo territorio e della sua gente nel succedersi dei sette preti che l’hanno accompagnata dagli anni di Cecco Beppe a quelli del secondo dopoguerra e della difficile convivenza fra stato e religione, con il tragico intermezzo di due conflitti e dell’epoca buia del ventennio fascista. 

In un contesto storico e culturale che favorirebbe ogni possibile divisione (fra croati e italiani, fra fascisti e antifascisti, fra italiani e cittadini della neo-federazione jugoslava) un aspetto emergono chiaramente, e sinceramente commuove: il vento della Storia passa su questa comunità di gente semplice e rovista nelle loro esistenze innocenti – ed io mi son sorpreso a immaginare che in fondo non debba essere così diverso nei mille confini macchiati anche oggi dalla crudeltà e dalla inutilità della guerra – eppure il senso di umanità profondamente resiste. L’edificio della scuola italiana e quella croata sorgono alla stessa velocità, quando i muratori si accorgono che sono impegnati un una stessa opera; una bambina musulmana viene accolta in terra cristiana consacrata (con il viso rivolto alla Mecca) perché il paese non era “strutturalmente” pronto alla commistione religiosa imposta dal regime titino.

Nelle sue pagine più toccanti, “La miglior vita” parla dei nostri giorni e ai nostri giorni, in una scrittura di termini dialettali che potranno sembrare respingenti ma che arricchiscono infinitamente il testo.

E Martin, sagrestano, padre, sposo, uomo semplice, non si dimentica
Io non so quanto ci sia di autobiografico in quest Io non so quanto ci sia di autobiografico in questo romanzo, e più mi guardo dentro (come queste pagine hanno fatto nell’ultima settimana), più mi rendo conto che non me ne importi un fico secco. “L’avventura terrestre” è una storia grande, un romanzo che ne contiene almeno un’altra decina, e – sebbene capisca perfettamente che la scrittura di Covacich diventi di una potenza rara quando si dedica all’autofiction, ed ogni accenno a un marciapiede triestino conosciuto nei suoi lavori è una stilettata di piacere – credo sia giunto ormai il momento di dichiararlo con estrema chiarezza: a prescindere dal tema affrontato, in romanzi pieni di vita come in altri ricolmi di oscurità, la scrittura di Mauro Covacich è fra le più interessanti degli ultimi dieci lustri.

Ne “L’avventura terrestre”, interpretando ed estendendo fino al limite massimo le angosce e le paure che vi avranno preso almeno un paio di volte (se siete fortunati), Covacich mi ha mostrato quale sia la sua vera specialità, che non è trasformare esperienze personali del suo vissuto ma saper leg-ge-re.

Solo che io leggo libri (tanti), giornali (ultimamente un po’ meno), mail (troppe) e persino un forum come si faceva negli anni 90, e Covacich legge l’animo umano. 

In questo romanzo di diagnosi mediche incerte, camminatori seriali nel giardino condominiale, storie abbozzate e mai nate, fughe d’amore, disastri coniugali, cabine bollenti sulla spiaggia, fantasmi, religiosità non troppo nascosta e tortorelle svanite, Covacich mi ha dato l’impressione di conoscermi.

Scrutandomi. Spaventandomi. Convivendo. Accompagnando un momento di dolore ricordato, una speranza vissuta, un abbraccio in cui perdersi consci che basterà. 

Io, in un libro che leggo, non saprei esattamente cosa altro cercare. #leggere #libriconsigliati #lavventuraterrestre #maurocovacich #librisulibri #instabook #instalibri #letture #leggere
Romanzo breve o racconto lungo? In fondo, noncenep Romanzo breve o racconto lungo? In fondo, noncenepuófregàdemeno: “Fuga a Est”  di Maylis de Kerangal è una storia intensa, magnificamente scritta, quasi del tutto ambientata in uno spazio ristretto eppure baciata dal largo respiro narrativo delle grandi scritture. 

Credevo di non conoscere Maylis de Kerangal ed in fondo è così, anche se ho ritrovato nella mia personalissima wish list “Corniche Kennedy”, appuntato credo per qualche buona recensione su Goodreads; a riannodare il filo hanno contribuito Dedica, festival letterario che propone ogni anno un autore per otto giorni di vita pordenonese durante i quali le sue opere vengono presentate in diverse forme artistiche, e il fratellone quellofotografo, a cui dobbiamo anche l’autografo vergato in francese e scrittura da medico sulla copia che ho avuto sul comodino. 
“Fuga a Est” è la storia di due allontanamenti e di un incontro: Alëša,  giovane russo che sta viaggiando con il plotone di coscritti e che cerca di sottrarsi alla leva , ed Hélène, una donna francese sulla quarantina che sta mettendo chilometri fra la sua vita e quella dell’amante. Due traiettorie di viaggio verso una speranza che sono destinate a incrociarci quando fra i due, nonostante l’assenza di una lingua comune, nasce una complicità che potrebbe rivelarsi tragica. 

Starò lontano da ogni tipo di spoiler anche fortuito, perché il “come andrà a finire” sarà parte del piacere della lettura, ma su un aspetto vorrei concentrare l’attenzione: alcune pagine tratteggiano, quasi in forma di elenco, la storia russa degli ultimi secoli, mescolando politica e cultura, società e letteratura. È un passaggio magnifico, che spiega tanto di un popolo e persino dell’abisso verso cui è stato lanciato. 

“Fuga a Est” si legge rapidamente, e ci si mette poi un bel po’ a lasciarselo alle spalle. #leggere #letture #instalibro #fugaaest #maylisdekerangal #libriconsigliati #librisulibri
Il processo produttivo del Liquore Strega, dettagl Il processo produttivo del Liquore Strega, dettaglia Wikipedia, inizia con la molitura di circa 70 erbe e spezie, caratterizzate da particolari proprietà aromatiche, importate da tutto il mondo e selezionate con grande maestria. Tra esse possiamo citare: la cannella di Ceylon, l’Iride Fiorentino, il ginepro dell’Appennino italiano, la menta del Sannio, che cresce spontaneamente lungo i fiumi della regione. Il suo caratteristico colore giallo deriva dall’aggiunta del prezioso zafferano al distillato di erbe aromatiche.

Io già faccio fatica a cucinare, figurati se mi metto alla prova con la creazione di un nuovo prodotto alcolico. Però, una cosa mi sento di poterla dire (magari non basandola sull’esperienza ma sulla voracità del lettore, che in fondo è quasi la stessa cosa): per mescolare gli aromi, i profumi, le suggestioni di 70 erbe e sapori diversi, devi avere un senso dell’equilibrio degno di Philippe Petit. 

In “Spatriati” mi è sembrato mancasse un sacco di equilibrio. E non faccio riferimento solo alla storia di Claudia e Francesco, inevitabilmente sbilanciata fra amore vissuto visceralmente e amicizia professata, o alla parabola delle loro vicende, che non sembrano lasciare grandi spazi alla speranza se è vero che quando – dopo pagine faticosissime – cominci a intravedere della luminosità, il clima di fa improvvisamente più tetro e spaventoso. 

No, penso all’equilibrio fra i più classici luoghi comuni (la mentalità chiusa del Sud Italia, Londra prima e Berlino poi come ambienti della sperimentazione di ogni genere) e il soprassalto che ti aspetti e che non arriva; e, diamine, avresti anche ragione di aspettartelo, perchè è una vita che ti senti un po’ “spatriato”, e hai l’immodesta impressione di meritarti di qualcosa di meglio di “Non mi bacerai mai più?” “Non baciavo te.” “E chi?” “Baciavo tutto quello che eravamo e che non siamo più.”. 

L’anno scorso non ho beccato lo Strega giusto, quest’anno credo di aver già letto di meglio. #letture #leggere #premiostrega #instabook #instalibri #librisulibri #libri #romanzi
E comunque oggi è Pasqua, e dopo aver fatto tinti E comunque oggi è Pasqua, e dopo aver fatto tintinnare campanelle e chiavi ieri notte, un regalo anche qui sento il dovere di metterlo. 

E quindi eccoci qui con Inventarsi una vita, un dialogo fra Claudio Magris e Paolo Di Paolo su libri, scrittura, letteratura, storia. Quindi: Vita. 

“Credo anch'io che si scriva per lottare contro l'oblio, nel desiderio - forse patetico ma appassionato - di fermare, di salvare le cose e soprattutto i volti amati dall'abrasione del tempo, dalla morte. Scrivere è anche un tentativo di costruire un'arca di Noè per salvare tutto ciò che si ama, per salvare - desiderio vano e impossibile, donchisciottesco ma inestirpabile - ogni vita. Desiderio vano e impossibile perché quell'arca è una barchetta fragile e sconquassata e presto affonderà, eppure non si smette di scrivere. Si scrive anche per tante ragioni: talvolta per fare ordine, talvolta per disfare un ordine precostituito; per difendere qualcuno, per aggredire qualcuno. E per amore, per paura, per protesta, per distrarsi dall'impossibilità di vivere, per esorcizzare un vuoto, per cercare il senso della vita.” 

#claudiomagris #inventarsiunavita #citazione #libri #librisulibri #bookstagram #instalibri
Ero perplesso, poi intimidito, poi persino un filo Ero perplesso, poi intimidito, poi persino un filo preoccupato. Un libro di Barbero che ha sullo sfondo l’11 settembre? Cosa ne verrà fuori? Mi indigneranno alcuni passaggi? Si scivolerà nella polemica del “in fondo se lo sono cercata con quella pretesa di insegnare al mondo come si vive?”, l’analisi storico-politico prevarrà o mi perderò a Manhattan fra mille storie umane che si incrociano?

Poi, per uno di quei casi di cui è bellissimo accorgersi, dopo essermi messo alla tastiera e aver fatto partire Spotify in sottofondo, il soggiorno si è riempito delle note di Hikikomori dei Pinguini Tattici Nucleari e…

“E ballo con la tua mancanza
Su una canzone dei Pink Floyd
E forse pecco di arroganza
Ma spero che Barbero parlerà di noi”

Ora, a parte la genialità della rima Floyd/noi e tralasciando che dopo questi quattro versi (che già sono un romanzo intero) c’è una strofa sui camion militari a Bergamo che mi ha fatto lacrimare, quel richiamo a Barbero mi ha illuminato su cosa mi aveva convinto di “Brick for stone”. 

Barbero non abbandona la veste dello storico, come ho letto da qualche parte. In un racconto popolato da una galleria di personaggi perfettamente disegnati – da Bobby Fisher con il suo malanimo verso gli States all’indimenticabile linguista che studia gli insulti nelle varie lingue e dialetti del tempo, dai writer alla ricerca di un colpo sensazionale al direttore del Mc in cima al WTC – Barbero ci ricorda che la Storia non è scalpellata e indirizzata solo dai “potenti”, dalle grandi decisioni irrevocabili, dai grandi discorsi. La Storia è (anche) l’insieme delle nostre storie, da quella dell’ex militare russo trascinatosi fino ad una bettola newyorkese in un romanzo a quella, drammaticamente più reale, di due ragazzi bergamaschi rinchiusi nelle loro stanze da una pandemia.

Quindi sì, “Brick for stone” mi ha coinvolto. Se trovate respingente un certo battage mediatico o se un certo presenzialismo dell’autore vi provoca un po’ di fastidio, provate a superarlo, che ne vale la pena. #leggere #brickforstone #barbero #instabook #librisulibri #newyork #newyorkbooks #nineeleven #11settembre
Ci sono stati anni – lunghi, formativi, faticosi Ci sono stati anni – lunghi, formativi, faticosi, importanti – in cui ho scritto tutto le sere. 

Non erano più gli anni delle macchine da scrivere (che comunque in casa non sono mai mancate) e non era ancora il momento di un pc domestico, quindi lo strumento non poteva che essere la penna; uno strumento che peraltro corrispondeva in pieno a una certa visione romantica dell’addolorato (e quindi creativo) “scrittore”, con una consapevolezza delle virgolette da piazzare prima e dopo questo termine che si era già fatta molto forte grazie alle letture di quegli anni. La naturale conseguenza era un rumore di sottofondo che ricordo bene: il suono del foglio di carta appallottolato al termine della rilettura, e scagliato – con una grazia cestistica che mi sarebbe stata più utile negli anni successivi – verso il cestino rosso all’angolo della camera. Scrittura, rilettura, accartocciamento. 

Da appassionato, ho letto moltissimo di Agatha Christie (in particolare, direi tutto Poirot), ma non conoscevo altrettanto bene la biografia della più celebre giallista della storia né tantomeno la storia della sua misteriosa scomparsa durata quasi due settimane. A questi undici giorni che tennero il mondo con il fiato sospeso nel 1926, meritandosi persino la prima pagina del New York Times, Nina De Gramont ha dedicato un romanzo che non mi ha convinto del tutto, e ho passato qualche ora a domandarmi come mai. 

Inizialmente ho attribuito lo scarso appeal de “Il caso Agatha Christie” sulla mia coscienza letteraria ad aspetti puramente tecnici e formali: un certo stile narrativo che su di me ha poca presa e una incoerenza nella voce narrante (quella dell’amante del marito della scrittrice) che in alcuni passaggi appare saltellante fra la naturale ristrettezza di informazioni di un personaggio e l’onniscienza, descrivendo situazioni e dialoghi in cui non poteva essere presente. 

Ho sentito la trama de “Il caso Agatha Christie” accartocciarsi sulla sua stessa storia, indecisa fra il mantenere a fuoco la storia di sottofondo e concentrarsi su altri eventi, con un effetto che mi ricordava perfettamente il rumore della buona idea e dell'occasione persa. #leggere #ilcasoagathachristie
“Qualcosa di completamente diverso: un’esperie “Qualcosa di completamente diverso: un’esperienza unica di terrore, pietà, vicinanza, presenza”. 

Ho sottolineato e riletto più volte questa frase che compare in una delle ultime pagine di V13, il reportage di Carrere dalle aule di tribunale dove si sono celebrate le udienze del processo ai complici e all’unico attentatore sopravvissuto alle stragi di Parigi del 13 novembre 2015. Mi è sembrata una frase paradigmatica non soltanto delle sensazioni suscitate dalla lettura ma di un vero e proprio metodo che Carrere ha voluto mettere in pratica nel racconto delle pagine più tragiche della storia francese dal dopoguerra in poi. 

Terrore: impossibile non lasciarsi trasportare dal racconto dei sopravvissuti, dall’orrore di quello che è accaduto al Bataclan, dal pensiero di cosa sia stato vivere quelle ore, quel buio, quei rumori. 

Pietà: è qui che Carrere ci aiuta ad allargare lo sguardo, a superare l’umanissimo confine del cuore dedicato alle vittime, ai familiari e ai sopravvissuti per spingersi più in là. Arrivando a micro-personaggi sotto processo per aver fornito un’auto senza sapere quale fosse la destinazione, in un contesto sociale in cui certe domande non si fanno, e che non riesci a non condannare perché quello che è successo è troppo tragico, ma qualcosa in fondo non ti suona del tutto giusto. 

Vicinanza: conscio di un taglio autoriale e umano completamente diverso, in alcuni punti ho pensato a Mario Calabresi (di cui mi bevo ogni pagina e ogni newsletter). Carrere entra in risonanza acustica ed emoriva con le umanità che gravitano intorno al processo, le descrive con stima o affetto, si capisce perfettamente che ne sentirà la mancanza. Ed è uno sguardo umano che commuove. 

Presenza: è un termine su cui non dirò nulla, perché è scritto nella mia storia con la P maiuscola, ed il significato religioso non è certo quello che intende Carrere. Ma personalmente mi è straordinariamente chiaro in quanti modi si sia manifestata in quelle ore infinite e orribili. 

“Qualcosa di completamente diverso: un’esperienza unica di terrore, pietà, vicinanza, presenza”. Non c’è sintesi migliore. #v13 #carrere #parigi #adelphi
Comincerei dedicando un applauso alle due amiche c Comincerei dedicando un applauso alle due amiche che hanno genialmente modificato la copertina del volume, mantenendo le prime due lettere e trasformando l’evidente sostantivo che conclude il titolo in “call”, accompagnando il tutto con un mini-quiz perfettamente in linea con lo spirito editoriale del libro.

“Crimini e misteri da risolvere mentre fai la cacca” (o la call) si sostanzia infatti in una gradevolissima raccolota di mini-racconti che si concludono con una domanda: è il lettore quindi a dover interpretare il testo, a trasformarsi in investigatore (o in un tecnico della scientifica…) e a cercare di indovinare se la soluzione del mistero che troveremo alla fine del libro sia effettivamente quella immaginata.

Oh, io ve lo dico ed evitando accuratamente ogni tipo di spoiler (anche perché i casi da risolvere sono 65 e sarebbe onestamente complicato dare indicazioni su tutti): NON aspettatevi, come intuitivamente avevo fatto io, di risolverli serenamente e in una manciata di secondi, soprattutto se siete appassionati lettori di crime e siete convinti di averle viste (lette) più o meno tutte. No no, dovrete farvi in alcuni passaggi almeno due o tre riletture del testo, e se in qualche (rara) situazione farete centro senza troppo sudare al primo colpo, in altri dovrete necessariamente pensare, immaginare, scavare un pochino di più. #libri #letture #criminiemisteridarisolverementrefailacacca #gialli #giochi #librigame #gamebook
“Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno” è stato una bellissima scoperta: uno di quei romanzi che non pretendono di segnare la storia della letteratura ma che interpretano perfettamente il loro genere, con una efficacia che ho raramente riscontrato nel recente passato. 

Che poi…. il “genere”… “Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno” può essere certamente definito un giallo, e in fondo fin dalla (splendida!) introduzione ne assume le caratteristiche, tanto che la voce narrante stessa si preoccupa di declamare il “Decalogo del Giallo Perfetto” scritto da Ronald Knox nel 1929, assicurandoci che non mentirà e indicandoci persino le pagine in cui si verificheranno gli omicidi. Si avvia così un continuo dialogo fra autore/protagonista e lettore che proseguirà, con piacere inaudito, in tutta la lettura, fra occhiolini strizzati, momenti di condivisione, giochi narrativi davvero convincenti. E’ un continuo gioco letterario, decisamente originale, tra spoiler annunciati che si realizzano puntualmente e la sensazione che Stevenson ti stia comunque portando a spasso per poi infilare un colpo di teatro (e ce ne sono a dozzine). Per fare un po’ quelli che se la tirano, potremmo discutere di meta-letteratura e francamente non sorprende che la storia sia già opzionata da HBO per una mini-serie, ma non lasciatevi trarre in inganno: quello che avrete tra le mani è un purissimo oggetto letterario, a prescindere da quello che diventerà sullo schermo. 

Benjamin Stevenson ha preso Agatha Christie di peso, l’ha sollevata, infilata in una navicella di quelle sci-fi e trasportata con efficacia nel ventunesimo secolo, fra conflitti familiari mai davvero risolti e il classico delitto a spazio chiuso (camera chiusa sarebbe davvero eccessivo), in una ambientazione che funziona terribilmente bene e con un sottofondo di analisi sociale dei nostri anni che comunque dice qualcosa. 

Per me promosso al 100%, se sei alla ricerca di una lettura accattivante, leggera, persino con un pizzico di emozione. #letture #tuttinellamiafamigliahannouccisoqualcuno #gialli #libriconsigliati #instabook #instalibro
C’è stato un tempo in cui “il libro della Not C’è stato un tempo in cui “il libro della Nothomb” generava in me una attesa spasmodica prima e un segnale dopo: era “iniziato un altro anno letterario”, che si apriva con la lettura spasmodica del nuovo testo della scrittrice belga (e bastava qualche ora) e si sarebbe poi sviluppato con tanti altri testi che mi auguravo altrettanto intriganti e sconvolgenti. 

E c’è stato anche un tempo – ero infinitamente più piccolo – in cui mentre leggevo (a letto, a tavola, sul divano…), mio papà passava, mi sfilava gli occhiali, guardava le lenti in controluce e affermava una roba tipo “ma ci hai tagliato sopra il salame?”. Poi andava a caccia di una pelle per la pulizia, quella che ti regalano con il portaocchiali e che altrettanto rapidamente sparisce, e tornava strofinando prima di ripiazzarmi la montatura sul naso importante che mi ritrovo, e il mondo appariva improvvisamente più colorato, nitido, definito. 

Ecco: “Libri da ardere”, “Acido solforico”, “Igiene dell’assassino” e altri testi della Nothomb che ho consigliato e regalato negli anni mi sono sempre apparsi come il mondo visto con gli occhiali appena puliti dal genitore; altri, e “Il libro delle sorelle” ahimè non fa eccezione, mi sono sembrati negli anni più opachi, meno rivelatori, in un dialogo con l’autrice che certamente parla alla mia storia e alla mia biografia, e di cui mi assumo ogni responsabilità di lettore. 

Il che non toglie che la Nothomb sia una straordinaria narratrice, che “Il libro delle sorelle” mi abbia comunque tenuto incollato dalla prima pagina al (non del tutto imprevedibile) finale e che l’imponente ed esteticamente gradevole successione dei romanzi sullo scaffale della libreria sia destinato a crescere, eh.

#amelinothomb #letture #lettura #ilibrodellesorelle #leggere #librisulibri #instabook #instalibro #occhiali #bookstagram #librirecensioni
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capitolo23

(In effetti, non è mica detto che i romanzi conte (In effetti, non è mica detto che i romanzi contenuti nella lista dei 1001 libri da leggere siano necessariamente imperdibili).

Mettiamola così: non avessi il dubbio di essermi perso qualcosa io, avrei passato le ultime due notti a domandarmi come sia stato possibile per questo romanzo breve di John Buchan approdare in una lista che – ai tempi della sua uscita, ormai distante – aveva suscitato giusto qualche polemica per delle esclusioni eccellenti. Dubbio, tra l’altro, pesantemente nutrito dalle numerose trasposizioni cinematografiche che si sono succedute negli anni, la prima delle quali a firma udite-udite-udite di Alfred Hitchcock, che di thriller e spy stories ci capiva sicuramente un pochino più di me.

Ma tant’è; l’ultima volta che ho controllato, Hitchcock su questa pagina non aveva un account e quindi eccomi qui che me ne f8 e sottolineo che “I 39 scalini” mi ha fatto sbadigliare un bel po’.

Trama zoppicante, ricca di passaggi decisamente forzati che mi avrebbero fatto gridare allo scandalo se non si trattasse di un testo del 1915, quando la letteratura di genere (o “elementare tipo di narrativa”, come la auto-definisce lo stesso autore nella dedica ad un amico) aveva appena emesso i primi vagiti.

Incontri fra personaggi e successivi dialoghi altrettanto rivedibili, in una successione di incroci di storie umane che vanno dal palesemente improbabile al “talmente assurdo che ne sorriderò”.

Action – direbbero gli sceneggiatori – che farebbe sospettare la parodia, se non fosse che in sottofondo si avverte quell’aria di “fingo di farlo per divertirvi conoscendone l’effetto, ma comunque per me è una roba seria” che mi infastidiva in terza media, immaginati ora che di pagine sotto i ponti ne son passate.

Infine, uno schema narrativo davvero poco efficace, fondamentalmente basato sullo schema “protagonista in fuga –> incontro con un salvatore spesso poco conscio –> momento di riflessione e di pianificazione della –> nuova fuga e si ritorna al primo punto”.

Diciamo che ho messo una spunta verde su una riga della lista, e a posto così.

#leggere #1001libridaleggereprimadimorire #johnbuchan #i39scalini #letture #spy
(Continuo a essere debitore a Giorgio Ballario per (Continuo a essere debitore a Giorgio Ballario per aver fatto incrociare al protagonista dei suoi romanzi la figura storica del Tenente Amedeo Guillet. Da “Le rose di Axum” a “Amedeo. Vita, avventure e amori di Amedeo Guillet” il passo è stato breve, da quest’ultimo a “La guerra privata del tenente Guillet” direi altrettanto.)

Confesso di essermi dato una pacca sulla spalla da solo: di solito quando mi prende una curiosità viscerale per un argomento o – come in questo caso – per una figura storica realmente protagonista di un pezzo di storia del nostro paese, le letture di tomi su tomi diventano incontrollabili e continue, e devo ammettere che anche la mia capacità di fare conversazione si affievolisce nella mono-tematicità: MoglieRiccia ne è conscia e sopporta, ma in questo caso sono riuscito a fare passare quasi un anno intero fra i racconti derivanti dalla lettura di “Amedeo” e quelli che arriveranno adesso che ho terminato “La guerra privata del tenente Guillet”. Quindi, se mi stai leggendo, sappi che stanno arrivando.

“La guerra privata del tenente Guillet” si concentra, come intuibile fin dal titolo, sulla resistenza messa in atto dietro le linee nemiche da Amedeo Guillet e dalla banda di combattenti locali rimasti fedeli al Comandante Diavolo nel corso della seconda guerra mondiale. Una fedeltà all’uomo prima che all’ideale o a una nazione che molti dei guerriglieri avrebbero faticato ad indicare su una mappa: Guillet riusciva a miscelate quasi miracolosamente rispetto e carisma, autorità e condivisione, e questa sua capacità di leggere gli animi sarebbe poi stata decisiva nella carriera diplomatica dopo la guerra.

Ma il termine che più mi ha dominato durante la lettura è stato “cavalleria”, nel suo duplice significato. Da una parte, descrittivamente, Guillet comandó certamente le ultime cariche a cavallo nella guerra in Africa e probabilmente le ultime della Storia. Dall’altra, i riconoscimenti ricevuti dal nemico, durante e dopo la fine del conflitto, riportano alla memoria momenti di storia antica, sprazzi di umanità nei contesti della tragedia più antica, ripetuta e stupida del nostro percorso di esseri viventi. #amedeoguillet #storia #leggere
Nasciamo tutti, direi senza eccezione, lettori di Nasciamo tutti, direi senza eccezione, lettori di libri usati: li scopriamo sugli scaffali di casa, transitati da occhi e pupille di genitori o fratelli/sorelle più grandi, ordinati in un modo che si sembra misterioso e che fatichiamo a rispettare, una volta completata la lettura, perché non capito.

Poi, se ti prende la passione per oggetti certamente dotati d’anima che ti trascineranno nello spazio e nel tempo, cominci a farti la TUA personalissima selezione, papà aggiunge qualche scaffale in camera, poi cederà alla necessità di una/due/tre librerie, a rubare spazio agli armadi. E siccome i soldi della paghetta quelli sono, se sei fortunato nella tua città ci sono librerie “remainders” (quando sono arrivato a Milano si diceva così, e ci si riferiva a uno spazio su due piani ormai scomparso in piena Galleria). Ci ho passato interi pomeriggi, ricordo istanti di rivelazione.

E ricordo di essermi domandato come ci arrivassero lì, quei libri. Immaginando magazzini e patrimoni perduti, separazioni sofferte ed eredità non volute.

Giovanni Spadaccini in “Compro libri anche in grandi quantità” racconta come i libri finiscono nel circuito dell’usato: è la storia di vite perdute, di biblioteche smembrate, di anziani che vorrebbero lasciare un segno nel mondo, di eredi litigiosi, di scoperte fortunate, di polvere e schiene doloranti, di segnalibri. Sono pagine che inteneriscono, a volte divertono, più spesso commuovono (su un Diario ho singhiozzato un po’). Memorabile.

E poi c’è il fatto che Spadaccini racconta e quindi consiglia, quasi inevitabilmente e quasi per inciso: mi sono appuntato alcuni titoli e autori che non conoscevo, li comprerò usati, ci mancherebbe altro.

“Compro libri anche in grandi quantità” è, infine, un bellissimo prodotto editoriale: magnifica sopracoperta, splendida copertina, carta godibile, font e spaziature che agevolano la lettura. #libri #leggere #libriusati #comprolibriancheingrandiquantità #utet #giovannispadaccini #librisulibri #bookstagram #instalibri
Chi ascolta Indagini, il podcast di Stefano Nazzi Chi ascolta Indagini, il podcast di Stefano Nazzi pubblicato da Il post, e non ha letto “Il volto del male” sentendo nella sua testa la voce dell’autore, semplicemente mente. E’ un effetto noto anche ai lettori di Costa e che non mi ha invece colpito leggendo Lucarelli, fondamentalmente perché ho iniziato a vederlo in tv un bel po’ di tempo dopo averlo iniziato a leggere (poi è subentrata l’impressione di leggere “paura, eh?”, ma questa è un’altra storia ancora).

Ecco, a proposito di Lucarelli e della sua opera, i lettori che ne hanno seguito la carriera non-giallista – declinata in libri che hanno raccontato la cronaca nera italiana dell’ultimo secolo – vivranno con Nazzi una certa esperienza di deja vu, perché naturalmente i casi raccontati non possono che essere quelli che hanno più fortemente colpito l’opinione pubblica. Se poi vi drogate di serie TV sulla stessa tematica storica (“Crimini”, “Delitti” e via dicendo), e su qualche caso specifico avete già affrontato altre letture (come l’ottimo “Diciassette omicidi per caso” di Ilaria Cavo sulla vicenda di Donato Bilancia), il rischio di avvertire il racconto di Nazzi come una rilettura diventerà oggettivamente piuttosto forte. 

Il che non toglie che: 

1. se siete più a digiuno di me, troverete intrigante l’ottima narrazione e lo sguardo sul dolore e sul male di cui siamo capaci in quanto essere umani; 

2. nelle cronache di Nazzi riconosco un approccio pervaso da una enorme umanità, che si concretizza anche in una attenzione piena di delicatezza nel non lasciarsi andare alla descrizione di una certa morbosità a cui – su altri strumenti di comunicazione e in funzione attiraclick – siamo purtroppo sempre più abituati

3. Indagini è un podcast magnifico e se non lo conoscete lo consiglio spassionatamente. 

#leggere #letture #stefanonazzi #ilvoltodelmale #instabook #instabooks #instalibro #bookstagram #cronacanera
I ggggiovani direbbero che ho una crush per la scr I ggggiovani direbbero che ho una crush per la scrittura di Cognetti (no, sono abbastanza sicuro di aver sbagliato la formula con cui lo direbbero, ma insomma credo sia chiaro). Sarebbe anche un momento editoriale perfetto per parlarne, visto che è in uscita sulla tv satellitare il film tratto da quell’incredibile romanzo che è Le otto montagne (anche se io ho una crush per la Sofia di Sofia veste sempre di nero, e sulla forma dell’espressione utilizzata vedi sopra…). 

La realtà è che “La felicità del lupo” mi ha atteso pazientemente sullo scaffale per un po’ di tempo, con lo sguardo buono e la pazienza di un vero amico. I libri di Cognetti sono così: hanno un carattere, dei sentimenti, respirano. E attendono, quando è il caso di attendere. 

Deve essere (anche) per questo che cominci a leggere e inizia un dialogo: con “La felicità del lupo” abbiamo parlato di amori finiti, di fuga dalla città, del silenzio della montagna, di profili frastagliati che prima chiudono e poi spalancano l’orizzonte, di vite che si intrecciano misteriosamente, di incomprensioni umane, di alberi che parlano. Ne abbiamo parlato sussurrando, con l’intimità che ti concede una storia che non sarà mai esplosiva e che - forse anche per questo - ti scivola sotto la pelle e rimane lì, e si riaffaccia durante la giornata quando meno te lo aspetti. 

Fausto e Silvia, principali protagonisti del romanzo, continuano a sussurrarmi la loro storia, anche adesso che ho mestamente finito di leggere. E mi hanno detto di salutarvi caramente, e che vi aspettano. 
#paolocognetti #lafelicitàdellupo #leggere #libri #libridaleggere #bookstagram #booklover #lettura #instabook #instalibri #libriconsigliati
Una volta mi dicevo “Distopia, portami via”, q Una volta mi dicevo “Distopia, portami via”, quando iniziavo a leggere un romanzo appartenente a un genere letterario che mi aveva affascinato parecchio e trascinato con la fantasia in mondi uguali al nostro eppure profondamente diversi.

“Il muro”, attraverso la voce narrante del suo giovane protagonista, mi ha riconciliato con un genere letterario: Lanchester immagina una gran Bretagna futura di un mondo che è stato sconvolto da uno o più eventi non perfettamente declinati ma che hanno certamente a che fare con la crisi climatica e che vanno sotto l’immaginifica definizione de Il Cambiamento. E il modo migliore che l’Union Jack ha trovato per assicurarsi un futuro di sicurezza e prosperità è stato quello di costruire un immenso Muro di 10.000 chilometri sulle sue coste, perfettamente a picco sul mare e quindi particolarmente semplice da difendere. 

Siccome però la storia ci ha insegnato che strutture architettonico-militari anche imponenti non sono sufficienti, ecco che a presidiare il Muro sono chiamati tutti i cittadini britannici di maggiore età, costretti ad un periodo di leva obbligatoria di due anni da trascorrere ai confini del Regno presidiando la solidità del Muro e respingendo – naturalmente a mitragliate – i tentativi di scalarlo per avere accesso all’isola. 

Da una parte, quindi, i Difensori, chiamati a questo ruolo ad un’età in cui – tra l’altro – risultano particolarmente critici verso la generazione precedente alla loro, quella dei loro genitori e soprattutto quella che ha fott*to definitivamente il pianeta. Dall’altra, quelli che vengono definiti semplicemente “Altri”, uomini e donne disperati alla ricerca di una occasione in un contesto che li attrae nonostante mitragliatrici e riflettori posti a difesa di un territorio quasi inespugnabile. 

A rendere ulteriormente tragico il confronto, una chicca ulteriore: in caso di assalto riuscito e di ingresso irregolare nel Paese, un numero equivalente di Difensori – quelli impegnati nel settore violato – saranno trascinati in mezzo al mare e abbandonati ai flutti su una fragile scialuppa… 

(continua nei commenti)
Ci sono quattro (forse cinque, forse sei) personag Ci sono quattro (forse cinque, forse sei) personaggi principali.

C’è uno scrittore di culto scomparso dalla scena da decenni, in perenne lotta con il romanzo da scrivere da qualche lustro. Un libro che ha terminato, forse, anzi no, come quando hai la tosse e ti sembra di aver finito di far rumore, ma poi senti ancora un po’ di raspino lì in fondo.

C’è un aiutante-amico-tuttofare, uno che ha lasciato andare alla deriva la sua vita e poi se ne è spogliato per dedicarsi a quella dello scrittore, curandone corrispondenza e sopravvivenza.

C’è Karen, che abita nella stessa casa ed è stata sposata con uno sconosciuto in un matrimonio collettivo di un culto coreano (indimenticabili le prime pagine con la cerimonia nello stadio, e quanto mi ha fatto pensare ai primi capitoli di Underworld…) e poi è stata de-programmata.

C’è una fotografa che ha deciso di ritrarre soltanto scrittori.

Ci sono tre ambientazioni principali (una New York all’ombra delle due Torri, ed era il 1991, una Londra che si contorce su se stessa ed una Beirut infiammata dal terrorismo) e c’è uno sguardo che parte dai grandi eventi della Storia (Tienanmen, i funerali di Khomeini) e poi si stringe sulle esistenze dei protagonisti.

C’è una scrittura avvolgente, magnifica, certamente non facile da avvicinare, che dipana davanti ai tuoi occhi tutta la fragilità di una società e tutte le sue infinite contraddizioni: masse che si muovono e individualismo sfrenato, solidità sociale e terrore, necessità di farsi delle infinite domande di senso e paura di trovare una risposta.

DeLillo non è mai semplice da affrontare, hai la costante sensazione che questa volta non ce la farai, che resterai senza finale. Poi alzi lo sguardo e lo punti sull’orologio, son passate due ore, e tu ti rendi conto che non ti capita spesso di leggere pagine che ti cambiano il ritmo del respiro. #dondelillo #maoII #leggere #letture #1001libridaleggereprimadimorire #instabook #instalibri #libri
Si può essere felici di un piccolo errore? Sì, s Si può essere felici di un piccolo errore? Sì, si può.

E io sono felice di aver comprato impulsivamente L’amore di pietra, perché mi appassionano i racconti dei corrispondenti di guerra (Territorio Comanche, ovviamente la Fallaci, la Aleksievic, ...) e ho fiducia assoluta nei tipi della Keller, e la combinazione delle due informazioni non mi ha fatto eccessivamente approfondire la questione prima di portarlo a casa.

C’è scritto chiaramente, eh, bello grande in copertina: “Una vita CON un corrispondente di guerra”, non “DI un corrispondente di guerra”. Ma lo spaesamento mi è durato il tempo di poche pagine, poi è stata solo lettura.

Grazyna Jagielska raccoglie, in questo racconto intimo, i suoi pensieri, indirizzandoceli nel dialogo con i medici che l’hanno avuta in cura e con un paziente della clinica psichiatrica in cui si è ricoverata, dopo una diagnosi di disturbo post-traumatico da stress. Una diagnosi che ti aspetteresti in un reduce o – ancor più giustificatamente – nel marito, che di guerre ne ha raccontate cinquantatré. E invece…

E invece la guerra è talmente orribile da poterti ferire al cuore anche quando la vivi con gli occhi della persona che ami. Quando il suono del telefono fa sobbalzare perché può portare la notizia finale, quella che ti annienterà, e quando ti accorgi che il ritorno di tuo marito è insieme desiderato e temuto, perché vorrà dire nuovi racconti e nuovi silenzi carichi di significato.

Per una banale questione di ruolo, mi sono dovuto confrontare con una figura che nel libro è presente per la sua stessa assenza; ho sentito in alcuni momenti di di doverne prendere le difese, come se questo fosse necessario, e lo scrivo per evidenziare quanto queste pagine hanno inciso nelle mie giornate. Perché in alcune situazioni, come scrive Jagielska, “Il tempo dell’attesa è un tempo strano, fa danni enormi e indelebili, persino se si è capaci di aspettare”. E perché poi, volendo citare i testi che passano per radio e ti fanno canticchiare a bassa voce, e che alla tragicità del conflitto più vicino a noi sono dedicati, "qui non è mai lunedì". 

"L'amore di pietra è stata lettura prima fortuita e poi fortunata. #libri #letture @keller_editore
Dopo le emozioni, variamente distribuite nella sca Dopo le emozioni, variamente distribuite nella scala del dolore letterario ma comunque provanti, derivanti dalle letture di Covacich e Tomizza, mi ci voleva un attimo di pausa. Dortmunder , lo sfortunato criminale nato dalla penna geniale di Donald E. Westlake, si adatta perfettamente allo scopo, e mi premuro sempre di averne almeno un paio pronti sullo scaffale nonostante la difficoltà di reperimento (ComproVendoLibri Santo Subito!). 

L’avventura di “E bravo Dortmunder” nasce, ma guarda un po’, da una rapina finita male che costringe il nostro protagonista ad una fuga sui tetti newyorkesi, con conseguente caduta in un convento e in mezzo ad un gruppo esterrefatto di suore di clausura: dare spiegazioni non è semplice, anche perché le suore seguono uno strettissimo voto del silenzio (interrotto solo per due ore alla settimana) ed il dialogo non può che avvenire attraverso una complicata gestualità ricca di richiami biblici.

Nasce così, e dalla riconoscenza di Dortmunder per la mancata denuncia alla polizia da parte del corpo ecclesiastico, la necessità per l’improbabile banda raccolta dal protagonista di assaltare il grattacielo più protetto della città, costruito e occupato dal più classico dei cattivoni multimiliardari che, tra l’organizzazione di un colpo di stato e altre frivolezze, ha rapito la figlia fattasi suora dal convento per riportarla (imprigionata all’ultimo piano) a casa. 

E, alla fine, non importa chi salverà chi, se e come Dortmunder riuscirà a rimanere lontano dalla prigione e se la banda di suoi sodali si sarà arricchita o meno di un altro paio di indimenticabili personaggi: importa solo che ti sei regalato qualche ora di piacevolissima lettura, che hai ceduto a due o tre risate sguaiate, e che ti sei aggiudicato un paio di ricerche sul web per mettere le mani sui prossimi. #booklovers #dortmunder #donaldwestlake #giallo #gialli #umorismo #instabook #instalibro #libriconsigliati
Non so per quale motivo “La miglior vita” di F Non so per quale motivo “La miglior vita” di Fulvio Tomizza sia rimasto così a lungo sugli scaffali dei libri da leggere, anticipato da altre letture; o forse sì, se voglio provare ad essere onesto com me stesso una spiegazione credo di averla. Più di una, in realtà: da una parte mi pareva di cedere al localismo – cose che faccio spesso e che quindi mi inibisce alla continuità di campanile – dall’altra temevo una edizione e una scrittura di altri tempi, che avesse poco da dire ai miei giorni. 

Mi sbagliavo di grosso. 

“La miglior vita”, romanzo Premio Strega nel 1973, ha moltissimo da dire ai nostri giorni. L’io narrante, il sagrestano della piccola comunità istriana di Radovani racconta la storia del suo territorio e della sua gente nel succedersi dei sette preti che l’hanno accompagnata dagli anni di Cecco Beppe a quelli del secondo dopoguerra e della difficile convivenza fra stato e religione, con il tragico intermezzo di due conflitti e dell’epoca buia del ventennio fascista. 

In un contesto storico e culturale che favorirebbe ogni possibile divisione (fra croati e italiani, fra fascisti e antifascisti, fra italiani e cittadini della neo-federazione jugoslava) un aspetto emergono chiaramente, e sinceramente commuove: il vento della Storia passa su questa comunità di gente semplice e rovista nelle loro esistenze innocenti – ed io mi son sorpreso a immaginare che in fondo non debba essere così diverso nei mille confini macchiati anche oggi dalla crudeltà e dalla inutilità della guerra – eppure il senso di umanità profondamente resiste. L’edificio della scuola italiana e quella croata sorgono alla stessa velocità, quando i muratori si accorgono che sono impegnati un una stessa opera; una bambina musulmana viene accolta in terra cristiana consacrata (con il viso rivolto alla Mecca) perché il paese non era “strutturalmente” pronto alla commistione religiosa imposta dal regime titino.

Nelle sue pagine più toccanti, “La miglior vita” parla dei nostri giorni e ai nostri giorni, in una scrittura di termini dialettali che potranno sembrare respingenti ma che arricchiscono infinitamente il testo.

E Martin, sagrestano, padre, sposo, uomo semplice, non si dimentica
Io non so quanto ci sia di autobiografico in quest Io non so quanto ci sia di autobiografico in questo romanzo, e più mi guardo dentro (come queste pagine hanno fatto nell’ultima settimana), più mi rendo conto che non me ne importi un fico secco. “L’avventura terrestre” è una storia grande, un romanzo che ne contiene almeno un’altra decina, e – sebbene capisca perfettamente che la scrittura di Covacich diventi di una potenza rara quando si dedica all’autofiction, ed ogni accenno a un marciapiede triestino conosciuto nei suoi lavori è una stilettata di piacere – credo sia giunto ormai il momento di dichiararlo con estrema chiarezza: a prescindere dal tema affrontato, in romanzi pieni di vita come in altri ricolmi di oscurità, la scrittura di Mauro Covacich è fra le più interessanti degli ultimi dieci lustri.

Ne “L’avventura terrestre”, interpretando ed estendendo fino al limite massimo le angosce e le paure che vi avranno preso almeno un paio di volte (se siete fortunati), Covacich mi ha mostrato quale sia la sua vera specialità, che non è trasformare esperienze personali del suo vissuto ma saper leg-ge-re.

Solo che io leggo libri (tanti), giornali (ultimamente un po’ meno), mail (troppe) e persino un forum come si faceva negli anni 90, e Covacich legge l’animo umano. 

In questo romanzo di diagnosi mediche incerte, camminatori seriali nel giardino condominiale, storie abbozzate e mai nate, fughe d’amore, disastri coniugali, cabine bollenti sulla spiaggia, fantasmi, religiosità non troppo nascosta e tortorelle svanite, Covacich mi ha dato l’impressione di conoscermi.

Scrutandomi. Spaventandomi. Convivendo. Accompagnando un momento di dolore ricordato, una speranza vissuta, un abbraccio in cui perdersi consci che basterà. 

Io, in un libro che leggo, non saprei esattamente cosa altro cercare. #leggere #libriconsigliati #lavventuraterrestre #maurocovacich #librisulibri #instabook #instalibri #letture #leggere
Romanzo breve o racconto lungo? In fondo, noncenep Romanzo breve o racconto lungo? In fondo, noncenepuófregàdemeno: “Fuga a Est”  di Maylis de Kerangal è una storia intensa, magnificamente scritta, quasi del tutto ambientata in uno spazio ristretto eppure baciata dal largo respiro narrativo delle grandi scritture. 

Credevo di non conoscere Maylis de Kerangal ed in fondo è così, anche se ho ritrovato nella mia personalissima wish list “Corniche Kennedy”, appuntato credo per qualche buona recensione su Goodreads; a riannodare il filo hanno contribuito Dedica, festival letterario che propone ogni anno un autore per otto giorni di vita pordenonese durante i quali le sue opere vengono presentate in diverse forme artistiche, e il fratellone quellofotografo, a cui dobbiamo anche l’autografo vergato in francese e scrittura da medico sulla copia che ho avuto sul comodino. 
“Fuga a Est” è la storia di due allontanamenti e di un incontro: Alëša,  giovane russo che sta viaggiando con il plotone di coscritti e che cerca di sottrarsi alla leva , ed Hélène, una donna francese sulla quarantina che sta mettendo chilometri fra la sua vita e quella dell’amante. Due traiettorie di viaggio verso una speranza che sono destinate a incrociarci quando fra i due, nonostante l’assenza di una lingua comune, nasce una complicità che potrebbe rivelarsi tragica. 

Starò lontano da ogni tipo di spoiler anche fortuito, perché il “come andrà a finire” sarà parte del piacere della lettura, ma su un aspetto vorrei concentrare l’attenzione: alcune pagine tratteggiano, quasi in forma di elenco, la storia russa degli ultimi secoli, mescolando politica e cultura, società e letteratura. È un passaggio magnifico, che spiega tanto di un popolo e persino dell’abisso verso cui è stato lanciato. 

“Fuga a Est” si legge rapidamente, e ci si mette poi un bel po’ a lasciarselo alle spalle. #leggere #letture #instalibro #fugaaest #maylisdekerangal #libriconsigliati #librisulibri
Il processo produttivo del Liquore Strega, dettagl Il processo produttivo del Liquore Strega, dettaglia Wikipedia, inizia con la molitura di circa 70 erbe e spezie, caratterizzate da particolari proprietà aromatiche, importate da tutto il mondo e selezionate con grande maestria. Tra esse possiamo citare: la cannella di Ceylon, l’Iride Fiorentino, il ginepro dell’Appennino italiano, la menta del Sannio, che cresce spontaneamente lungo i fiumi della regione. Il suo caratteristico colore giallo deriva dall’aggiunta del prezioso zafferano al distillato di erbe aromatiche.

Io già faccio fatica a cucinare, figurati se mi metto alla prova con la creazione di un nuovo prodotto alcolico. Però, una cosa mi sento di poterla dire (magari non basandola sull’esperienza ma sulla voracità del lettore, che in fondo è quasi la stessa cosa): per mescolare gli aromi, i profumi, le suggestioni di 70 erbe e sapori diversi, devi avere un senso dell’equilibrio degno di Philippe Petit. 

In “Spatriati” mi è sembrato mancasse un sacco di equilibrio. E non faccio riferimento solo alla storia di Claudia e Francesco, inevitabilmente sbilanciata fra amore vissuto visceralmente e amicizia professata, o alla parabola delle loro vicende, che non sembrano lasciare grandi spazi alla speranza se è vero che quando – dopo pagine faticosissime – cominci a intravedere della luminosità, il clima di fa improvvisamente più tetro e spaventoso. 

No, penso all’equilibrio fra i più classici luoghi comuni (la mentalità chiusa del Sud Italia, Londra prima e Berlino poi come ambienti della sperimentazione di ogni genere) e il soprassalto che ti aspetti e che non arriva; e, diamine, avresti anche ragione di aspettartelo, perchè è una vita che ti senti un po’ “spatriato”, e hai l’immodesta impressione di meritarti di qualcosa di meglio di “Non mi bacerai mai più?” “Non baciavo te.” “E chi?” “Baciavo tutto quello che eravamo e che non siamo più.”. 

L’anno scorso non ho beccato lo Strega giusto, quest’anno credo di aver già letto di meglio. #letture #leggere #premiostrega #instabook #instalibri #librisulibri #libri #romanzi
E comunque oggi è Pasqua, e dopo aver fatto tinti E comunque oggi è Pasqua, e dopo aver fatto tintinnare campanelle e chiavi ieri notte, un regalo anche qui sento il dovere di metterlo. 

E quindi eccoci qui con Inventarsi una vita, un dialogo fra Claudio Magris e Paolo Di Paolo su libri, scrittura, letteratura, storia. Quindi: Vita. 

“Credo anch'io che si scriva per lottare contro l'oblio, nel desiderio - forse patetico ma appassionato - di fermare, di salvare le cose e soprattutto i volti amati dall'abrasione del tempo, dalla morte. Scrivere è anche un tentativo di costruire un'arca di Noè per salvare tutto ciò che si ama, per salvare - desiderio vano e impossibile, donchisciottesco ma inestirpabile - ogni vita. Desiderio vano e impossibile perché quell'arca è una barchetta fragile e sconquassata e presto affonderà, eppure non si smette di scrivere. Si scrive anche per tante ragioni: talvolta per fare ordine, talvolta per disfare un ordine precostituito; per difendere qualcuno, per aggredire qualcuno. E per amore, per paura, per protesta, per distrarsi dall'impossibilità di vivere, per esorcizzare un vuoto, per cercare il senso della vita.” 

#claudiomagris #inventarsiunavita #citazione #libri #librisulibri #bookstagram #instalibri
Ero perplesso, poi intimidito, poi persino un filo Ero perplesso, poi intimidito, poi persino un filo preoccupato. Un libro di Barbero che ha sullo sfondo l’11 settembre? Cosa ne verrà fuori? Mi indigneranno alcuni passaggi? Si scivolerà nella polemica del “in fondo se lo sono cercata con quella pretesa di insegnare al mondo come si vive?”, l’analisi storico-politico prevarrà o mi perderò a Manhattan fra mille storie umane che si incrociano?

Poi, per uno di quei casi di cui è bellissimo accorgersi, dopo essermi messo alla tastiera e aver fatto partire Spotify in sottofondo, il soggiorno si è riempito delle note di Hikikomori dei Pinguini Tattici Nucleari e…

“E ballo con la tua mancanza
Su una canzone dei Pink Floyd
E forse pecco di arroganza
Ma spero che Barbero parlerà di noi”

Ora, a parte la genialità della rima Floyd/noi e tralasciando che dopo questi quattro versi (che già sono un romanzo intero) c’è una strofa sui camion militari a Bergamo che mi ha fatto lacrimare, quel richiamo a Barbero mi ha illuminato su cosa mi aveva convinto di “Brick for stone”. 

Barbero non abbandona la veste dello storico, come ho letto da qualche parte. In un racconto popolato da una galleria di personaggi perfettamente disegnati – da Bobby Fisher con il suo malanimo verso gli States all’indimenticabile linguista che studia gli insulti nelle varie lingue e dialetti del tempo, dai writer alla ricerca di un colpo sensazionale al direttore del Mc in cima al WTC – Barbero ci ricorda che la Storia non è scalpellata e indirizzata solo dai “potenti”, dalle grandi decisioni irrevocabili, dai grandi discorsi. La Storia è (anche) l’insieme delle nostre storie, da quella dell’ex militare russo trascinatosi fino ad una bettola newyorkese in un romanzo a quella, drammaticamente più reale, di due ragazzi bergamaschi rinchiusi nelle loro stanze da una pandemia.

Quindi sì, “Brick for stone” mi ha coinvolto. Se trovate respingente un certo battage mediatico o se un certo presenzialismo dell’autore vi provoca un po’ di fastidio, provate a superarlo, che ne vale la pena. #leggere #brickforstone #barbero #instabook #librisulibri #newyork #newyorkbooks #nineeleven #11settembre
Ci sono stati anni – lunghi, formativi, faticosi Ci sono stati anni – lunghi, formativi, faticosi, importanti – in cui ho scritto tutto le sere. 

Non erano più gli anni delle macchine da scrivere (che comunque in casa non sono mai mancate) e non era ancora il momento di un pc domestico, quindi lo strumento non poteva che essere la penna; uno strumento che peraltro corrispondeva in pieno a una certa visione romantica dell’addolorato (e quindi creativo) “scrittore”, con una consapevolezza delle virgolette da piazzare prima e dopo questo termine che si era già fatta molto forte grazie alle letture di quegli anni. La naturale conseguenza era un rumore di sottofondo che ricordo bene: il suono del foglio di carta appallottolato al termine della rilettura, e scagliato – con una grazia cestistica che mi sarebbe stata più utile negli anni successivi – verso il cestino rosso all’angolo della camera. Scrittura, rilettura, accartocciamento. 

Da appassionato, ho letto moltissimo di Agatha Christie (in particolare, direi tutto Poirot), ma non conoscevo altrettanto bene la biografia della più celebre giallista della storia né tantomeno la storia della sua misteriosa scomparsa durata quasi due settimane. A questi undici giorni che tennero il mondo con il fiato sospeso nel 1926, meritandosi persino la prima pagina del New York Times, Nina De Gramont ha dedicato un romanzo che non mi ha convinto del tutto, e ho passato qualche ora a domandarmi come mai. 

Inizialmente ho attribuito lo scarso appeal de “Il caso Agatha Christie” sulla mia coscienza letteraria ad aspetti puramente tecnici e formali: un certo stile narrativo che su di me ha poca presa e una incoerenza nella voce narrante (quella dell’amante del marito della scrittrice) che in alcuni passaggi appare saltellante fra la naturale ristrettezza di informazioni di un personaggio e l’onniscienza, descrivendo situazioni e dialoghi in cui non poteva essere presente. 

Ho sentito la trama de “Il caso Agatha Christie” accartocciarsi sulla sua stessa storia, indecisa fra il mantenere a fuoco la storia di sottofondo e concentrarsi su altri eventi, con un effetto che mi ricordava perfettamente il rumore della buona idea e dell'occasione persa. #leggere #ilcasoagathachristie
“Qualcosa di completamente diverso: un’esperie “Qualcosa di completamente diverso: un’esperienza unica di terrore, pietà, vicinanza, presenza”. 

Ho sottolineato e riletto più volte questa frase che compare in una delle ultime pagine di V13, il reportage di Carrere dalle aule di tribunale dove si sono celebrate le udienze del processo ai complici e all’unico attentatore sopravvissuto alle stragi di Parigi del 13 novembre 2015. Mi è sembrata una frase paradigmatica non soltanto delle sensazioni suscitate dalla lettura ma di un vero e proprio metodo che Carrere ha voluto mettere in pratica nel racconto delle pagine più tragiche della storia francese dal dopoguerra in poi. 

Terrore: impossibile non lasciarsi trasportare dal racconto dei sopravvissuti, dall’orrore di quello che è accaduto al Bataclan, dal pensiero di cosa sia stato vivere quelle ore, quel buio, quei rumori. 

Pietà: è qui che Carrere ci aiuta ad allargare lo sguardo, a superare l’umanissimo confine del cuore dedicato alle vittime, ai familiari e ai sopravvissuti per spingersi più in là. Arrivando a micro-personaggi sotto processo per aver fornito un’auto senza sapere quale fosse la destinazione, in un contesto sociale in cui certe domande non si fanno, e che non riesci a non condannare perché quello che è successo è troppo tragico, ma qualcosa in fondo non ti suona del tutto giusto. 

Vicinanza: conscio di un taglio autoriale e umano completamente diverso, in alcuni punti ho pensato a Mario Calabresi (di cui mi bevo ogni pagina e ogni newsletter). Carrere entra in risonanza acustica ed emoriva con le umanità che gravitano intorno al processo, le descrive con stima o affetto, si capisce perfettamente che ne sentirà la mancanza. Ed è uno sguardo umano che commuove. 

Presenza: è un termine su cui non dirò nulla, perché è scritto nella mia storia con la P maiuscola, ed il significato religioso non è certo quello che intende Carrere. Ma personalmente mi è straordinariamente chiaro in quanti modi si sia manifestata in quelle ore infinite e orribili. 

“Qualcosa di completamente diverso: un’esperienza unica di terrore, pietà, vicinanza, presenza”. Non c’è sintesi migliore. #v13 #carrere #parigi #adelphi
Comincerei dedicando un applauso alle due amiche c Comincerei dedicando un applauso alle due amiche che hanno genialmente modificato la copertina del volume, mantenendo le prime due lettere e trasformando l’evidente sostantivo che conclude il titolo in “call”, accompagnando il tutto con un mini-quiz perfettamente in linea con lo spirito editoriale del libro.

“Crimini e misteri da risolvere mentre fai la cacca” (o la call) si sostanzia infatti in una gradevolissima raccolota di mini-racconti che si concludono con una domanda: è il lettore quindi a dover interpretare il testo, a trasformarsi in investigatore (o in un tecnico della scientifica…) e a cercare di indovinare se la soluzione del mistero che troveremo alla fine del libro sia effettivamente quella immaginata.

Oh, io ve lo dico ed evitando accuratamente ogni tipo di spoiler (anche perché i casi da risolvere sono 65 e sarebbe onestamente complicato dare indicazioni su tutti): NON aspettatevi, come intuitivamente avevo fatto io, di risolverli serenamente e in una manciata di secondi, soprattutto se siete appassionati lettori di crime e siete convinti di averle viste (lette) più o meno tutte. No no, dovrete farvi in alcuni passaggi almeno due o tre riletture del testo, e se in qualche (rara) situazione farete centro senza troppo sudare al primo colpo, in altri dovrete necessariamente pensare, immaginare, scavare un pochino di più. #libri #letture #criminiemisteridarisolverementrefailacacca #gialli #giochi #librigame #gamebook
“Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno” è stato una bellissima scoperta: uno di quei romanzi che non pretendono di segnare la storia della letteratura ma che interpretano perfettamente il loro genere, con una efficacia che ho raramente riscontrato nel recente passato. 

Che poi…. il “genere”… “Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno” può essere certamente definito un giallo, e in fondo fin dalla (splendida!) introduzione ne assume le caratteristiche, tanto che la voce narrante stessa si preoccupa di declamare il “Decalogo del Giallo Perfetto” scritto da Ronald Knox nel 1929, assicurandoci che non mentirà e indicandoci persino le pagine in cui si verificheranno gli omicidi. Si avvia così un continuo dialogo fra autore/protagonista e lettore che proseguirà, con piacere inaudito, in tutta la lettura, fra occhiolini strizzati, momenti di condivisione, giochi narrativi davvero convincenti. E’ un continuo gioco letterario, decisamente originale, tra spoiler annunciati che si realizzano puntualmente e la sensazione che Stevenson ti stia comunque portando a spasso per poi infilare un colpo di teatro (e ce ne sono a dozzine). Per fare un po’ quelli che se la tirano, potremmo discutere di meta-letteratura e francamente non sorprende che la storia sia già opzionata da HBO per una mini-serie, ma non lasciatevi trarre in inganno: quello che avrete tra le mani è un purissimo oggetto letterario, a prescindere da quello che diventerà sullo schermo. 

Benjamin Stevenson ha preso Agatha Christie di peso, l’ha sollevata, infilata in una navicella di quelle sci-fi e trasportata con efficacia nel ventunesimo secolo, fra conflitti familiari mai davvero risolti e il classico delitto a spazio chiuso (camera chiusa sarebbe davvero eccessivo), in una ambientazione che funziona terribilmente bene e con un sottofondo di analisi sociale dei nostri anni che comunque dice qualcosa. 

Per me promosso al 100%, se sei alla ricerca di una lettura accattivante, leggera, persino con un pizzico di emozione. #letture #tuttinellamiafamigliahannouccisoqualcuno #gialli #libriconsigliati #instabook #instalibro
C’è stato un tempo in cui “il libro della Not C’è stato un tempo in cui “il libro della Nothomb” generava in me una attesa spasmodica prima e un segnale dopo: era “iniziato un altro anno letterario”, che si apriva con la lettura spasmodica del nuovo testo della scrittrice belga (e bastava qualche ora) e si sarebbe poi sviluppato con tanti altri testi che mi auguravo altrettanto intriganti e sconvolgenti. 

E c’è stato anche un tempo – ero infinitamente più piccolo – in cui mentre leggevo (a letto, a tavola, sul divano…), mio papà passava, mi sfilava gli occhiali, guardava le lenti in controluce e affermava una roba tipo “ma ci hai tagliato sopra il salame?”. Poi andava a caccia di una pelle per la pulizia, quella che ti regalano con il portaocchiali e che altrettanto rapidamente sparisce, e tornava strofinando prima di ripiazzarmi la montatura sul naso importante che mi ritrovo, e il mondo appariva improvvisamente più colorato, nitido, definito. 

Ecco: “Libri da ardere”, “Acido solforico”, “Igiene dell’assassino” e altri testi della Nothomb che ho consigliato e regalato negli anni mi sono sempre apparsi come il mondo visto con gli occhiali appena puliti dal genitore; altri, e “Il libro delle sorelle” ahimè non fa eccezione, mi sono sembrati negli anni più opachi, meno rivelatori, in un dialogo con l’autrice che certamente parla alla mia storia e alla mia biografia, e di cui mi assumo ogni responsabilità di lettore. 

Il che non toglie che la Nothomb sia una straordinaria narratrice, che “Il libro delle sorelle” mi abbia comunque tenuto incollato dalla prima pagina al (non del tutto imprevedibile) finale e che l’imponente ed esteticamente gradevole successione dei romanzi sullo scaffale della libreria sia destinato a crescere, eh.

#amelinothomb #letture #lettura #ilibrodellesorelle #leggere #librisulibri #instabook #instalibro #occhiali #bookstagram #librirecensioni
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Copia-incollate pure (magari non nei temi, tanto MoglieRiccia vi becca). E citando la fonte, naturalmente 😉

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