L’altra sera io e MoglieRiccia abbiamo fatto un tifo da stadio. Non c’era la Triestina in finale di Champions (sorprendentemente) né Valentino Rossi piegato in curva: c’era la diretta della premiazione dello Strega 2017.
Lo ha vinto Paolo Cognetti e noi abbiamo esultato un bel po’. A me era piaciuto moltissimo Sofia si veste di nero (ma anche tutto il resto della produzione letteraria di Paolo), MoglieRiccia si era spinta fino a Le otto montagne (che a me ancora manca). E ne aveva scritto una recensione che riassume uno dei tanti motivi per cui ci siamo trovati all’altare. E’ bellissima.
Mai piaciuta la montagna.
Sono una donna di pianura. E della pianura mi piace tutto: la nebbia d’autunno, il coperchio del cielo, largo, in certe giornate invernali che promettono la neve senza mantenere, o in alcune afose domeniche di agosto, in cui la calura spegne i colori estivi e li appiattisce sui toni del grigio. Il ripetersi del paesaggio quando l’attraversi in autostrada o sulle statali: una distesa aperta di campi, filari di pioppi e cascine fatiscenti.
Mi piace poter guardare l’orizzonte e saperlo basso, vicino, ancorato alla terra su cui cammino e, a volte, mi piace che quell’orizzonte diventi il punto (l’unico e non sempre netto) di incontro col cielo: a livello del mio sguardo, senza necessariamente dover tirar su la testa. Trovo tutto questo riposante e rassicurante.
Credo potrebbe piacermi molto anche vivere vicino al mare. Che ha molto in comune con la pianura: la stessa orizzontalità dello sguardo, ad esempio. Ma che è un paesaggio che sa mantenere i colori che promette e che chiede un movimento, verso l’orizzonte e dall’orizzonte, a cui la pianura non ti costringe.
Credo che invece in montagna farei proprio fatica a vivere. E ad adattarmi.
Se qualcuno mi avesse detto che questo libro, nonostante parli di montagna e di amicizia, mi sarebbe piaciuto (e molto), credo avrei riso di gusto, con la convinzione che un’osservazione del genere significava che il mio interlocutore non mi conoscesse affatto.
Invece il libro mi é piaciuto. E molto.
In montagna ci andavo da bambina, con la mia famiglia. E poi da ragazzina e da ragazza, con gli amici, qualche volta.
Della montagna amavo i boschi e le fantasie che nascondevano, i fiumi e i torrenti e i ghiacciai, perché l’acqua, in ogni sua forma, mi ha sempre attratto come un magnete. E amavo i rifugi, dopo che ci si arrivava. Il mangiare frugale. L’aria fredda, il vento, il colore che prendeva la pelle al sole, senza accorgersi.
Ma la verità é che odiavo (e odio) camminare in salita. E quella era la parte che mi toccava tollerare per godermi il resto, che mi piaceva, ma non poi così tanto da giustificare la fatica in mezzo.
Di quel camminare faticoso per salire ricordo lo sguardo sulla punta degli scarponi, costante, il sudore che sentivo formarsi sulla schiena, sotto il peso dello zaino. Lo sguardo chiuso dalle rocce, quando lo alzavo nella speranza di prender fiato e dare respiro anche agli occhi, che invece rimanevano impigliati sempre in forme aspre, colori impegnativi, profili stancanti.
L’unico modo che avevo, alla fine, per arrivare in cima, era trovare il mio passo (lentissimo, davvero, praticamente imbarazzante). Rassegnarmi a quello e, con straordinaria pazienza, mettere semplicemente un piede davanti all’altro, continuando a respirare, fin quando non sarei semplicemente arrivata.
Era una cosa che mi costava una fatica pazzesca perché io non sono così.
Non tutti sono così.
Io difficilmente, nella vita, cammino.
Io corro come una pazza. E incespico. Oppure sto ferma, magari settimane, mesi, o a volte qualche giorno.
Che possa avanzare con lentezza, costanza e regolarità è una probabilità che si realizza in interstizi di tempo praticamente trascurabili, non è proprio da me. E non sto parlando, ovviamente, del gesto fisico del muoversi nello spazio.
Paolo Cognetti, invece, scrive così, in questo romanzo, con quel passo.
La sua scrittura è composta da un incedere regolare e inesorabile, che mantiene il fiato teso e i muscoli in funzione; senza concedere tregue, senza esagerare con la velocità, senza fermarsi mai.
Ti porta con lui fino in cima, con una naturalezza che mi ricorda certi racconti della Munro, (e so che questo gli farà infinitamente piacere), con un accuratezza lessicale che non scade mai nell’esibizione o nel nozionismo ma che è necessaria senza risultare pedante.
Ti fa sedere, solo alla fine, accanto a lui, lassù in cima.
Lì, in silenzio, puoi lasciare che il vento ti porti via i pensieri, fino a valle.
E respirare.
SCHEDA LIBRO
Autore: Paolo Cognetti
Titolo: Le otto montagne
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Anno di pubblicazione: ottobre 2013
Pagine: 199
ISBN: 978-8806226725
Prezzo (Amazon.it, 15% sconto): cartaceo copertina flessibile: € 15,73; eBook: € 9,99
LINKOGRAFIA
Il blog di Paolo Cognetti
La scheda libro de Le otto montagne sul sito dell’editore con un estratto del romanzo in pdf (Fonte Einaudi.it)
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8.5/10
Riassunto
Estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, “la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui”. Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: “Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino”. Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.