Ora, io avevo anche deciso di soprassedere, come faccio ogni tanto quando quello che leggo risulta lontanissimo dal mio gusto e dal mio concetto di livello minimo di qualità letteraria.

Poi domenica scorsa sono successe due cose: la Triestina ha preso due gol in tre minuti e – cosa se possibile ancora più grave – preso dalla delusione e dallo sconforto ho deciso di iniziare a sfogliare la copia di Robinson presa quella mattina, riscontrando nella classifica dei libri più venduti Finché il caffè è caldo di Toshikazu Kawaguchi, e allora non non più riuscito a trattenermi.

finché il caffè è caldo

Apprendo che si tratterebbe di un adattamento da uno spettacolo teatrale, il che spiegherebbe alcune cose (una su tutte, una ripetitività nei dialoghi e una ossessiva descrizione di ogni azione anche minima dei protagonisti, quasi ci si dovesse sforzare di visualizzarli) ma non attenua ugualmente l’impressione di una pochezza narrativa ai limiti dell’accettabile. Il ritmo è inutilmente lento, del realismo magico di cui è maestro Murakami si avvertono solo indistinti riflessi, il tema principale del romanzo scompare e si affievolisce pagina dopo pagina e alcuni dei personaggi entrano di diritto nel mio personale Olimpo di “Non ne voglio mai più sapere niente”.

(ok, forse la sconfitta della squadra del cuore ha pesato ma, davvero, la personale sensazione di aver perso del tempo mentre il comodino ribolle di cose da leggere mi ha deluso in profondità).

Riassumendo

In Giappone c’è una caffetteria speciale. È aperta da più di cento anni e, su di essa, circolano mille leggende. Si narra che dopo esserci entrati non si sia più gli stessi.

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