Ok, mi sono preso la più classica delle cotte letterarie.
Il finir del mio 2017 giallistico è dominato da una figura: si tratta di Bernie Gunther, l’ex poliziotto berlinese ora detective privato nato dalla penna di Philip Kerr di cui già narrai della Trilogia ambientata nella capitale della Germania hitleriana. Come spesso mi capita, a romanzo segue romanzo, a pagine seguono pagine, e se non fosse per l’infelice mancanza di traduzioni di alcune delle avventure di Gunther, avrei probabilmente già riempito le pupille di ogni parola digitata da Kerr sul nostro eroe del momento.
Gunther piace perché è non è un semplice “ribelle”. E’ certamente un magnifico oppositore alla dittatura, e vive la paradossale dicotomia di un funzionario statale che indaga su omicidi in un regime sta causando milioni di morti. Ma se si trattasse semplicemente di un personaggio che riassume tutte le fattezze del Bene in un mondo dominato dal Male assoluto, non potrebbe risultare così interessante.
No, Bernie Gunther vive perché è un personaggio complesso, con le sue ombre e – quando è costretto a emigrare in Argentina (A fuoco lento) – i ricordi di un passato personale disfatto. E’ sopravvissuto “obbedendo agli ordini”, come molti dissero a Norimberga, e percepisce perfettamente il buio del pozzo in cui si è calato, avverte l’anti-eroismo suo e di milioni di connazionali nel non essersi opposto, a costo del peggior sacrificio personale.
In una bella recensione sul New York Times Book Review, il detective è descritto come “chi possiede una chiarezza morale sufficiente a penetrare la falsità e l’ipocrisia sia dell’amico che del nemico.” Mi sembra perfetto, e posso solo augurare a tutti di farsi accompagnare per un pezzo di strada dalla penna di Philip Kerr.
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8/10