Mentre leggevo il celebratissimo Eleanor Oliphant sta benissimo (“caso editoriale dell’anno”, “un capolavoro!”) di Gail Honeyman, mi son reso conto di due cose. Una seria e una meno.

Quella meno seria è che, per l’inevitabile bisogno che noi tutti abbiamo di dare un volto ai personaggi di cui leggiamo e per una serie di tratti caratteriali in comune, non potevo fare a meno di immaginare Eleanor Oliphant con le fattezze di Lucy, personaggi di The Big Bang Theory e “fidanzata” – virgolette d’obbligo – di Raj.

(ora, se mi state leggendo sul blog qui sotto trovate una immagine del personaggio in questione, se mi state leggendo su Instagram dovete far scorrere la foto a sinistra.)

Eleanor condivide con Lucy una certa disfunzionalità sociale, la difficoltà nel relazionarsi con gli altri, una forma di solitudine estrema che conduce a un pericoloso isolamento così come a improvvise fantasie: nel romanzo, Eleanor inizia un percorso tuto personale di recupero di una parvenza di normalità convincendosi che il cantante di una band di provincia sia l’uomo fatto per lei, senza averci mai scambiato una parola. Paradossale, ma è forse il tratto che più mi ha convinto nel romanzo: come da una fantasia assoluta si possa poi recuperare – dolorosamente, questo è dovuto – almeno un accenno di realtà.

Poi c’è la questione seria: deve essere ormai qualche anno che trovo una distanza siderale fra i miei gusti letterari e i “casi editoriali”. Intendiamoci: a differenza di quanto sostiene MoglieRiccia (a cui segnalo che il fatto che io giri con 6 accendini in tasca ha avuto un aspetto positivo nella realizzazione di questo post), per me Eleanor Oliphant una sufficienza la merita. Ma mi fermerei lì: non griderei al capolavoro, sottolineerei che la struttura narrativa ha le sue pause e che anche l’idea di un personaggio con queste caratteristiche non è proprio una novità. Sei e mezzo, via, o tre stelline, a seconda della scala di valutazione.

  • 6.5/10
    - 6.5/10
6.5/10

Riassumendo

Poco più che sufficiente, direbbero al liceo.

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