Nina sull’argine di Veronica Galletta
(“ehi Siri, ricordami ogni giorno che i gusti son gusti. La Lettura ha dato 2 stelle su 5 alla copertina di Nina sull’argine, a me è sembrata magnifica”).
Nina sull’argine è la storia di Caterina, nominata – anche a seguito di un repulisti dell’ufficio da parte della Magistratura – ingegnere responsabile della costruzione di un sistema di protezione contro gli straripamenti di un fiume. Il contesto – e anche un certo occhieggiare della quarta di copertina – potrebbero indurre a ricercare nel romanzo una vena di confronto uomini da cantiere vs. donna capo che ho trovato solo in leggerissimo sottofondo; decisamente più presenti tutti gli aspetti psicologici di una giovane donna a confronto con la costruzione di un’opera ingegneristica e, più evidentemente ancora, di se stessa. Caterina combatte, molto evidentemente, più con i suoi limiti – veri o presunti tali – che con l’ambiente che la circonda, vive il contrasto fra un rapporto sentimentale in disfacimento e la nascita di nuovi rapporti umani. Poco a poco, in un racconto che intreccia narrato e ricordato, dialogo e soliloquio, si sorprende ad affrontare sfide che non immaginava e a superare la distanza fra ciò che è scritto nei manuali e ciò che costituisce realtà. Il racconto si fa anche para-fantastico, nel rapporto con un uomo (o un fantasma?) di cui non dirò altro ma che regala al volume un pizzico di realismo magico.
Confesso però di essermi perso più volte: a volte negli esasperati tecnicismi del testo (un paio li ho approfonditi, ma poi ho gettato la spugna), in altri momenti nel tentativo di inquadrare la protagonista, che mi sfuggiva per forza e debolezza radicalmente alternate anche dopo poche pagine. Ma, in fondo, non è stata una lettura spiacevole, più simile – nella mia lettura – ad una passeggiata nella nebbia avvolgente dell’ambientazione che alla forza dirompente di un fiume che spacca gli argini.
SCHEDA LIBRO
Autore: Veronica Galletta
Titolo: Nina sull’argine
Editore: Minimum Fax
Collana: –
Anno di pubblicazione: 2022
Pagine: 224
ISBN: 9788833892870
Acquisto: Amazon.it (ebook, € 8,99; cartaceo copertina flessibile € 15,20)
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7/10
Quarta di copertina
Caterina è al suo primo incarico importante: ingegnere responsabile dei lavori per la costruzione dell’argine di Spina, piccolo insediamento dell’alta pianura padana. Giovane, in un ambiente di soli uomini, si confronta con difficoltà di ogni sorta: ostacoli tecnici, proteste degli ambientalisti, responsabilità per la sicurezza degli operai.
Niente di vero di Veronica Raimo
Il 10 luglio del 2006 la Gazzetta titolava “Tutto vero”: titolo a nove colonne sopra la foto di Cannavaro (Kan-va-va-ro!) che sollevava la Coppa del Mondo conquistata a Berlino. Io zoppicavo per una microfrattura a un dito del piede di cui NON racconterò la genesi e pensavo che era davvero un bel titolo, memorabile come l’evento a cui faceva riferimento: ci guardavamo in faccia e ci domandavamo “ma è successo davvero?”.
Veronica Raimo – che avevo apprezzato parecchio nella lettura di Miden, qualche estate fa – in Niente di vero gioca con le parole fin dal titolo, navigando fra il suo nome di battesimo e il concetto di verità. Non ho trovato “divertente” questo testo che sta a metà tra l’autobiografia ed il romanzo di formazione; l’ho trovato terribilmente vero, con quel sottile equilibrio fra momenti di pura tenerezza e altri di infinito e disincantato cinismo che mi hanno fatto persino un po’ male.
Nel suo racconto di storia familiare ricca di ossessioni – sì, l’uso dell’alcool disinfettante mi ha fatto sorridere – e di piccole e grandi disfunzioni, Veronica Raimo ci guida in quello che una volta sarebbe stato definito memoir e che oggi assomiglia a una tendenza letteraria moderna che non mi conquista mai del tutto ma che mi lascia sempre qualcosa. Credo che il giudizio complessivo di Niente di vero, di cui ho letto recensioni terribili insieme a pensieri grati, dipenda essenzialmente dalla biografia e dall’esperienza del lettore. E non intendo in un semplice riconoscimento degli episodi vissuti, ma in una più ampia comprensione delle fragilità umane, delle loro peculiarità, degli effetti quasi indelebili che una parola può lasciare nelle nostre vite.
Fra quelli letti finora, e sono ben lontano dalla meta finale, è forse il più “streghiano” dei testi che ho affrontato. Vediamo se l’8 giugno mi finisce in cinquina.
SCHEDA LIBRO
Autore: Veronica Raimo
Titolo: Niente di vero
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Anno di pubblicazione: 2022
Pagine: 176
ISBN: 9788806251895
Acquisto: Amazon.it (ebook, € 9,99; cartaceo copertina rigida € 17,10)
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7.5/10
Quarta di copertina
Prendete lo spirito dissacrante che trasforma nevrosi, sesso e disastri famigliari in commedia, da Fleabag al Lamento di Portnoy, aggiungete l’uso spietato che Annie Ernaux fa dei ricordi: avrete la voce di una scrittrice che in Italia ancora non c’era.
Vita di un esploratore gentiluomo. Il Duca degli Abruzzi
E qui devo un ringraziamento enorme a Giorgio Ballario che ha inserito tra le fonti utili alla scrittura del suo “Una donna di troppo” un testo che mi ha conquistato nelle ultime settimane, provocando anche qualche tensione familiare per la continuità quotidiana e l’estrema ricchezza di particolari con cui ripercorrevo, ad ogni occasione, l’incredibile biografia del Duca Degli Abruzzi che mi si andava via via svelando davanti agli occhi e al cuore.
Essendo nato a Trieste e cresciuto a Monfalcone, fino a qualche settimana fa l’unico Duca che faceva parte del mio personalissimo Pantheon era il Duca d’Aosta, al secolo Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, Comandante della Terza Armata sul fronte isontino della prima guerra mondiale, che riposa in mezzo ai suoi soldati ai piedi del Sacrario, a esattamente 5,8 chilometri di bicicletta dalla mia cameretta. Emanuele Filiberto non avrà avuto grandi obiezioni e ha fatto spazio nel mio immaginario al fratello Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, duca degli Abruzzi, a cui Mirella Tenderini e Michael Shandrick hanno dedicato quest’opera meravigliosa.
Ma chi fu il Duca degli Abruzzi? Bambino orfano di madre a tre anni, ragazzo formato in Accademia, uomo con una divorante passione per l’esplorazione e per la scoperta dell’ignoto, vissuta con gli occhi del lucido sognatore, di chi prepara scrupolosamente la riuscita dell’avventura senza smettere di lasciar vagare lo sguardo oltre le nuvole. Primo scalatore del Monte Saint Elias in Alaska (Alaska! e nel 1897), uomo più vicino a raggiungere il Polo Nord nei suoi anni; primo esploratore del Ruwenzori, 5101 metri di massiccio in pieno Congo (Congo! e nel 1906) la cui vetta è da allora nota come Cima Margherita, omaggio alla Regina, recordmen di altitudine raggiunta nel 1909 quando scalò il K2 senza raggiungerne la cima (ma ancora oggi la via più utilizzata per le scalate transita dallo Sperone degli Abruzzi). Imprese non solitarie, e non si tratta di un minus: il Duca possedeva anche la capacità di formare squadre perfette, e il volume è splendidamente illustrato da alcuni scatti di Vittorio Sella che di quelle imprese fu testimone e fotografo.
E poi una disarmante e misteriosa storia d’amore, una carriera militare lontana dagli intrighi politici, la scoperta delle sorgenti del fiume Uebi Scebeli (il “Secondo Nilo”) e un innovativo progetto di sperimentazione agricola in piena convivenza con la popolazione locale avviato in Somalia, dove ancora oggi il Duca riposa in un ricordo tramandato da generazioni e ai limiti della devozione, se si pensa che nel 1992 vi fu la concreta ipotesi di riportarne le spoglie in Italia e che fu la stessa popolazione locale ad opporsi, con il consenso finale della famiglia.
Una grande Storia di profonda umanità.
SCHEDA LIBRO
Autore: Mirella Tenderini, Michael Shandrick
Titolo: Vita di un esploratore gentiluomo. Il Duca degli Abruzzi
Editore: Corbaccio
Collana: –
Anno di pubblicazione: 2006
Pagine: 295
ISBN: 978-8879728324
Acquisto: Amazon.it (ebook, € 11,99; cartaceo copertina flessibile € 13,02)
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8.5/10
Quarta di copertina
(…) Raggiunse la latitudine Nord più avanzata dell’epoca. Tra il 1903 e il 1905 circumnavigò la terra passando per lo stretto di Magellano, toccando Cina e Australia e tornando per il mar Rosso. Nel 1906, in veste di alpinista, riuscì a raggiungere le cime più alte della catena del Ruwenzori, vicina alle sorgenti del Nilo. (…)
Lì dentro: Gli italiani nei social di Filippo Ceccarelli
Tralasciamo per un secondo il fatto che sono su Instagram a scrivere la recensione di un saggio di un (grande) giornalista che racconta la sua avventura alla scoperta di Instagram: si configurerebbe infatti una sorta di meta-post carpiato che, per la clamorosa distanza di capacità di pensiero e di parola, finirebbe per provocare una frattura spazio-social-temporale da episodio di Black Mirror e di cui l’esito finale dovrebbe prevedere un collasso intergalattico nel – recentemente fotografato – buco nero della Via Lattea.
Per garantire la salvezza planetaria, mi concentrerò quindi sulle sensazioni (poeti riccioluti avrebbero scritto Emozioni) che hanno accompagnato la mia lettura.
La prima – e mi capita spesso anche quando Ceccarelli è ospite a Propaganda Live – è un misto di referenza e gratitudine: l’autore non si è limitato a un viaggio nella galassia social dominato dall’arguzia e dalla capacità di far sorridere che gli è certamente propria. C’è più pensiero in questo ritratto degli italiani nei social di molti saggi letti sull’argomento, e più comprensione del nostro immaginario che in celebrati romanzi contemporanei. Instagram è ritratto come un luogo perfetto per descrivere le nostre storiche caratteristiche di popolo: esalta l’individualismo prima della comunità (di cui alla lunga però si apprezzano i pregi), consente di volgere tragedia in commedia, ci mostra generosi quando serve, cinici quanto basta, disincantati quasi sempre. E per dimostrare che in fondo la novità sta nel mezzo e non nel contenuto, ogni video virale è associato a un ricordo del passato, ogni volgarità improvvisa a un momento-fasto della Prima Repubblica, e tutto funziona meravigliosamente bene.
Molto italianamente ancora, il viaggio si compie con una compagnia familiare, e mi son quasi commosso nel leggere degli scambi con il figlio Giacomo (quasi un co-autore, vien da dire) e con i ricordi del padre, capace di trasmettere la curiosità verso l’umano a chi aveva un DNA prontissimo a recepirlo.
Avevo iniziato a leggere pensando di farmi solo quattro risate, ho affrontato un testo ricchissimo, avvolgente, mai banale e persino (lo dico) impegnativo in alcuni passaggi. Grazie, quindi, a Filippo Ceccarelli.
SCHEDA LIBRO
Autore: Filippo Ceccarelli
Titolo: Lì dentro: Gli italiani nei social
Editore: Feltrinelli
Collana: –
Anno di pubblicazione: 2022
Pagine: 366
ISBN: 978-8807493324
Acquisto: Amazon.it (ebook, € 11,99; cartaceo copertina flessibile € 18,05)
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8/10
Quarta di copertina
“Instagram mi piace da impazzire, letteralmente; Twitter per niente; Facebook non l’ho ancora capito tanto bene; YouTube mi affascina, però mi stanca, mentre TikTok deve essere formidabile, ma non ho tanto tempo e così me lo becco di seconda mano quando rimbalza sul mio schermo. Gli altri, boh, in tutta sincerità ho pure un po’ di strizza a registrarmi, eccetera. Quel che ho mi basta e soverchia, come diceva Andreotti”
Candidati Premio Strega 2022: Nova di Fabio Bacà
Nucleo familiare: Davide, neurochirurgo con tradizionali problemi lavorativi e di vicinato che abbiamo in molti; Barbara, logopedista e vegana; Tommaso, adolescente neanche troppo problematico con una passione per l’astronomia. In comune, oltre alla casa e allo stato di famiglia, hanno – per motivi del tutto diversi fra di loro – una ripugnanza per ogni forma di violenza o, per essere ancor più precisi, più in generale per il conflitto.
A far saltare il tappo di una semi-tranquilla esistenza lucchese è un episodio: Davide assiste inerme e non visto a un principio di aggressione di cui è vittima la moglie accompagnata dal figlio, situazione risolta dalla comparsa sulla scena di Diego, che inchioda (quasi letteralmente) l’aggressore al muro con una sorta di violenza trattenuta ma evidentemente pronta ad esplodere fino alle estreme conseguenze.
Di Diego, sorta di monaco zen, Davide diventerà amico e quasi discepolo, configurando la classica situazione letterariamente potenzialmente disastrosa: già avvertivo ondate new age accompagnate da una sorta di Fight Club in salsa provinciale italiana con lontani echi dal Sabato di McEwan.
E invece il romanzo merita una pienissima sufficienza: la scrittura di Bacà – che non conoscevo e che adesso mi incuriosisce fortemente – è piena e matura, con un perfetto equilibrio fra termini colloquiali e ricercatezza lessicale. Anche il ritmo regge perfettamente, e la lettura – anche arricchita da citazioni, più o meno velate, tra le quali spicca appunto un riferimento a Palahniuk – si fa intrigante fino a un finale (in gran parte) inatteso.
Riassumendo
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7/10
Quarta di copertina
Del cervello umano, Davide sa quanto ha imparato all’università, e usa nel suo mestiere di neurochirurgo. Finora gli è bastato a neutralizzare i fastidiosi rumori di fondo e le modeste minacce della vita non elettrizzante che conduce nella Lucca suburbana: l’estremismo vegano di sua moglie, ad esempio, o l’inspiegabile atterraggio in giardino di un boomerang aborigeno in arrivo dal nulla. Ma in quei suoni familiari e sedati si nasconde una vibrazione più sinistra
Plotone Sette di Andy McNab
Come capita a volte a noi lettori, dopo un paio di testi emotivamente sfidanti avverto la necessità di una sorta di pausa, che in genere soddisfo con un thrilleraccio (che spesso si rivela di infima categoria) o con un giallo (il più possibile) di spessore. Di Andy McNab ricordavo due libri – essenzialmente autobiografici – che mi avevano convinto (Pattuglia Bravo Two Zero e Azione immediata) e la delusione di aver scoperto che con la sua opera più narrativa (fra tutte l’infinita serie con protagonista Nick Stone) non avrei potuto colmare questi momenti di respiro fra letture più impegnative. Con Fuoco di copertura avevo proprio mollato il colpo, rimpiangendo il tecnothriller che amavo nella pagine di Clancy e cogliendone l’abissale distanza.
Plotone Sette è, me ne sono assicurato prima di iniziarlo, la conclusione di una trilogia autobiografica che contiene anche i due volumi già citati; se ha un limite, è quello di richiamarli eccessivamente alla memoria, e noi appassionati della materia avremmo certamente preferito pagine del tutto originali piuttosto che un racconto che riporta alla memoria la missione del Golfo (e la conseguente prigionia) così come le azioni già descritte in Azione immediata.
Ma c’è anche un aspetto positivo, che un po’ mi ha colpito: gran parte del volume è dedicato al “dopo il Reggimento”, raccontato sia per quanto riguarda la storia personale dell’autore che quella dei componenti del suo team; di più, Plotone Sette racconta evidenti episodi di stress post traumatico visto con gli occhi di chi indossa o ha indossato la divisa, e si è dovuto quindi confrontare con un ambiente e una cultura che non prevedevano – anzi, nascondevano – crolli psicologici da quelli che erano stati addestrati per assomigliare a super-uomini. La posizione che prende McNab è precisa, diretta e direi anche condivisibile, nella volontà di indirizzare culturalmente le Forze Speciali a prendersi carico di queste problematiche.
Qualcuno – assetato di azione, dettagli militari, azione – lo avrà trovato un limite, a me è sembrata nettamente la parte migliore del volume.
SCHEDA LIBRO
Autore: Andy McNab
Titolo: Plotone Sette
Editore: TEA
Collana: I grandi libri d’Azione n. 38
Anno di pubblicazione: 2008
Pagine: 432
ISBN: 978-8850254521
Acquisto: Amazon.it (€ 13,30, cartaceo copertina flessibile)
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7/10
Quarta di copertina
Maggio 1998: Andy McNab inaugura finalmente la sua casa e invita i ragazzi del plotone Sette, gli Ice Cream Boys, per festeggiare. La gioia di ritrovarsi è però guastata dal recentissimo fatto di sangue che ha visto protagonista Thomas Shanks, vera leggenda del reggimento, in carcere per omicidio.
Ragazzi di Zinco di Svetlana Aleksievic
Se c’è un libro che ha un gran senso leggere adesso, è Ragazzi di zinco di Svetlana Aleksievic. Più ancora di La guerra non ha un volto di donna, che mi aveva commosso e incantato. Perché Ragazzi di zinco racconta la storia di un milione di giovani russi spediti in Afganistan dal 1979, e soprattutto dei quattordicimila che tornarono in patria solo per essere sepolti, nottetempo, perché non si poteva mostrare che il conflitto avviato per sostenere “la grande causa internazionale e socialista” non stava andando esattamente come la televisione e la Pravda raccontavano.
Ripetendo quel metodo di lavoro che consente di ascoltare le voci dirette dei protagonisti, la Aleksievic ha attraversato per anni – ed erano anni pre-perestroika – l’Unione Societica per raccogliere le testimonianze di soldati, infermiere, medici, e soprattutto di madri di caduti. Riecheggiano, in questa opera pubblicata soltanto dopo la caduta del Muro, frasi e tematiche che abbiamo imparato tragicamente a conoscere negli ultimi mesi: è un eco che fa quasi impressione, dalla guerra avviata “perchè gli americani avevano pronto un piano d’invasione, li abbiamo anticipati di un’ora”, al ricordo continuo della Grande Guerra Patriottica del 45, a soldati inviati ad una esercitazione che scrivono a casa di essersi trovati al fronte senza saperlo. Ma più di tutto, prevale una umanità ferita e dolente che si è trovata di fronte a un bivio: morire buttando il sangue nella sabbia afgana o rientrare in patria al termine del servizio per essere definito “afgancy”, emarginato invece che accolto, traumatizzato da episodi orribili come solo la guerra può essere e su cui la Aleksievic non risparmia nulla.
E’ chiaro, chiarissimo, cristallino che in Ucraina ci siano uno stato aggressore e una comunità aggredita, e non c’è dubbio su dove possa andare tutto il mio sostegno. Ma un giorno – o forse oggi stesso – dovremo preoccuparci anche di chi la guerra l’ha comunque subita, con la divisa di un colore sbagliato addosso e una consonante divenuta simbolo di orrore sul petto.
SCHEDA LIBRO
Autore: Svetlana Aleksievic
Titolo: Ragazzi di zinco
Editore: Edizioni e/o
Collana: Dal mondo
Anno di pubblicazione: prima edizione 1992
Pagine: 316
ISBN: 9788866327158
Acquisto: Amazon.it : cartaceo copertina flessibile € 12,25, ebook: € 8,99
Riassumendo
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9/10
Quarta di copertina
Svetlana Aleksievič fa parlare qui i protagonisti di un’altra grande tragedia della storia sovietica: la guerra in Afghanistan tra il 1979 e il 1989. Un milione di ragazzi e ragazze partiti per sostenere la “grande causa internazionalista e patriottica”; almeno quattordicimila di loro rimpatriati chiusi nelle casse di zinco e sepolti di nascosto, nottetempo
Lampa Lampa di Lello Gurrado
Il Gambia è il più piccolo dei paesi africani, completamente circondato dal Senegal salvo lì dove il fiume omonimo di tuffa nell’oceano: inevitabilmente, la letteratura gambiana non offre esattamente una vasta scelta di libri tradotti in lingua italiana e, per il mio giro del mondo letterario, ho dovuto ripiegare sul “Gambia come ambientazione”.
Lello Gurrado racconta la storia di Sulley, un giovane gambiano scomparso durante il viaggio verso l’Europa, e di suo padre, che ha deciso di inseguirne le tracce intraprendendo lo stesso percorso. Ad aiutare il padre di Sulley nel ripercorrerne le orme c’è un particolare che distingue il figlio da ogni altro migrante: una maglietta di Messi, capitata chissà come fino in Gambia, indossata con fierezza e amore da un giovane che confidava di trovare fortuna nel Vecchio Continente, magari anche attraverso le sue doti calcistiche. Ed ecco allora che quella casacca del Barcellona diventa una bussola attraverso cui provare a scoprire dove sia finito Sulley e se il suo viaggio si sia interrotto in una delle mille tragiche peripezie che attendono i migranti dall’Africa subsahariana.
Io non ho una maglietta di Messi (però ne ho una alabardata di Della Rocca, omaggio di un’amica). Soprattutto, non so e non posso nemmeno lontanamente immaginare cosa possa voler dire intraprendere quel viaggio, mettendo in conto – fin dalla partenza – che potrebbe concludersi con la morte. E forse oggi ce ne siamo anche dimenticati un po’, concentrati – come è umano, eppure triste, che sia – in altre tragedie. Gurrado me lo ha ricordato, con un romanzo lieve, che qualcuno potrebbe persino definire ingenuo, che non si eleva alla tragicità di altri volumi sullo stesso tragico tema eppure rimane lì dentro, a ricordare.
SCHEDA LIBRO
Autore: Lello Gurrado
Titolo: Lampa Lampa
Editore: Epochè
Collana: –
Anno di pubblicazione: 2007
Pagine: 137
ISBN: 978-8899865146
Acquisto: Amazon.it (€ 13,30, cartaceo copertina flessibile)
PROGETTI
Giro del mondo letterario: Gambia
Riassumendo
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6.5/10
Quarta di copertina
Sulley un giovane del Gambia, il paese più piccolo dell’Africa parte per raggiungere Lampedusa (quella che i migranti chiamano Lampa Lampa) e di lì proseguire verso l’ Europa.
Candidati Premio Strega 2022: Mordi e fuggi di Alessandro Bertante
Ho iniziato la rincorsa al Premio Strega: ricordo l’ebrezza del tifo e la soddisfazione per il “già letto” quando le pagine dei quotidiani si concentrano sul vincitore e vorrei riassaporare la sensazione.
Per interesse storico e ipotetica contiguità con i miei gusti di lettore ho pensato di partire da Mordi e fuggi, romanzo di Alessandro Bertante che promette di raccontare la “storia delle Brigate Rosse”, come recita il sottotitolo. Naturalmente la forma è narrativa e non saggistica, con un protagonista io narrante e il tentativo di ricreare ambientazione storica e sociale degli anni Settanta.
Mettiamola così: non farò il tifo per questo.
Nonostante le premesse, ho trovato Mordi e fuggi deludente. Prima di tutto nella forma: dialoghi poco efficaci, una scrittura che sconta il tentativo di ricreare lessicalmente anni passati con un risultato che appare artificioso, in un insieme che appare tutto sommato quasi frettoloso nel divenire così come nella sua espressione.
C’è poi un problema di contenuto, che – come sempre accade quando si parla di letteratura – può essere dovuto alla mia sensibilità personale: il romanzo mi è parso fortemente assolutorio, quasi che l’esperienza della lotta armata fosse una inevitabile strada da intraprendere e non una precisa scelta politica e militare di cui non si faticava certo a intravedere la tragicità. Ogni azione delle BR è conseguenza di un torto subito, ogni momento di discussione interna sfiora il manicheismo fra chi non ha il coraggio di andare fino in fondo e chi ci crede davvero. Ho la fortuna di non aver vissuto quegli anni, ma immagino una infinita gamma di grigi fra il bianco e il nero delle due opposte posizioni, e in un romanzo che ambisce a raccontarne la storia avrei voluto vederne una rappresentazione.
Riassumendo
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5.5/10
Quarta di copertina
Milano, 1969. Università occupate, cortei, tensioni nelle fabbriche. Il 12 dicembre la strage di piazza Fontana. Alberto Boscolo ha vent’anni, viene da una famiglia normale, né ricca né povera, è iscritto alla Statale ma vuole di più.
Il libro dei morti di Patricia Cornwell
Vedi cara Patricia, è difficile a spiegare, è difficile parlare dei fantasmi della mente di un lettore. Vedi cara Patricia, tutto quel che posso dire è che un lettore cambia un po’ ogni giorno, diventa – pagina dopo pagina – differente.
Vedi cara Patricia, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
Certe frasi sono un niente che non serve più sentire: e io, anni dopo essermi dedicato ferocemente a più o meno tutta la serie che vede protagonista la tua Kay Scarpetta, con Il libro dei morti mi son trovato a una distanza infinita da quello che amo leggere: ti direi che non capisci quando cerco in una sera un mistero d’ atmosfera che è difficile afferrare, ma sarebbe solo un giro di parole per cercare di spiegare che non riesco più a reggere dialoghi insulsi, una trama piuttosto abbozzata, particolari orrorifici buttati lì per cercare di scioccare il lettore. Tu sei molto – hai venduta tantissimo – anche se non sei abbastanza e non vedi la distanza che è fra i miei pensieri e i tuoi: il tempo è tiranno, e dedicarne anche solo un po’ a qualcosa che sai non ti lascerà niente mi è ormai difficile da sopportare.
Io cerco ancora e così non spaventarti quando senti allontanarmi: avrai sempre schiere di lettori, ma io non vi appartengo più.
Vedi cara Patricia è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
Riassumendo
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5/10
Quarta di copertina
Dopo l’ultimo devastante caso che l’ha vista in azione in Florida, Kay Scarpetta si trasferisce a Charleston, nel South Carolina, dove apre uno studio di patologia forense con l’irrinunciabile aiuto della nipote Lucy e del fidato Pete Marino. Proprio quando sembra prendere avvio una tranquilla esistenza nella routine della provincia americana, Kay è chiamata a Roma per collaborare alle indagini sull’orrenda fine di una giovane campionessa di tennis statunitense.