Come ogni anno, le due settimane spiaggiato hanno prodotto un gran bel risultato di lettura. Tocca riassumere in almeno tre post, ma ne valeva la pena!

La torre – Bae Myung-Hoon

E così il primo romanzo sotto l’ombrellone è andato, anche se la definizione di “romanzo” forse si cuce poco addosso a “La torre” di Bae Myung-Hoon, sudcoreano autore di un libro che immerge le sue pagine in un bagno di fantascienza distocica e le restituisce profumate di provocazioni sociali, culturali, economiche e politiche. È una avventura che si sviluppa attraverso sei racconti – alcuni davvero riusciti – interconnessi tra di loro e ambientati in una gigantesca costruzione di più di 600 piani e cinquecentomila abitanti, costituitasi nel tempo come vero e proprio stato indipendente.

L’intenzione dell’autore appare piuttosto chiara fin dall’inizio, con un primo racconto che ci introduce alla vita nella Torre con un espediente geniale: protagonista un accademico con relativo gruppo di ricerca a supporto alle prese con la mappatura dei centri di potere del luogo attraverso la tracciatura dei movimenti di bottiglie regalo (si, in fondo quello che succede a Natale) e la loro concentrazione in alcuni punti dell’edificio. Già appaiono chiari i segnali di una critica – futuribile ma anche drammaticamente reale – di una società chiusa e utilitaristica, in cui lo spazio per i rapporti umani è ridotto al lumicino e in cui potere e accumulo monetario segnano la distinzione fra chi vale e chi può essere lasciato indietro.

(io, da vecchio cuore sentimentale, in piena contraddizione mi son commosso con la storia delle cassette della posta, che non vi spoilero ma che vale da sola la lettura del libro).

Sarà quell’aria da Black Mirror che rinfresca la stanza, sarà una scrittura fluida che si lascia leggere, sarà un Glossario al limite del geniale, ma io son più che soddisfatto.Perché io lo so che ormai siamo tutti presi ad annuire con entusiasmo a quello che (per l’ennesima volta) ti racconta dell’arte del kintsugi, quella roba bella e potente emotivamente dei giapponesi che prendono un vaso andato in frantumi, riparano le crepe con l’oro e così il vaso spezzato acquista ancora più valore ed è molto più bello di prima. 

Una banda di idioti – John Kennedy Toole

Ci sono libri paralizzanti (che ci metti un mese a finire) e libri polarizzanti (che dividono la folla dei lettori in due fazioni opposte e a volte belligeranti). “Una banda di idioti” non è un libro paralizzante – anche se un minimo di fatica sulle 450erotte pagine si avverte – ma è certamente un libro polarizzante, che separa potentemente chi lo ha amato e chi lo ha odiato.

Per me era una rilettura, devo dire anche in certi aspetti sentimentale: il romanzo, pubblicato postumo dopo una storia travagliata che include il suicidio dell’autore e le peregrinazioni della madre in cerca di una casa editrice, suscita nella mia mente primi ricordi di libertà letteraria. Non che prima leggessi cose a cui ero costretto, ma lo associo (forse con memoria fallace) ai primi giri autonomi in libreria, scorrendo un po’ spaventato gli scaffali, soldi contati e voglia di scoprire.

Riletto, mi son polarizzato da solo. Dovessi confermare l’entusiasmo della lettura giovanile sarei in palese difficoltà, eppure anche a distanza di anni “La banda di idioti” ha una sua strana, stranissima attrattiva: un protagonista indimenticabilmente odioso (sospeso fra una supponenza da GrandeNonCompreso e una comicità spicciola), personaggi di contorno che ho amato infinitamente di più, una trama che non è una trama e che rende comunque il romanzo impossibile da abbandonare.

Io non so se finirete per schierarvi fra i detrattori convinti che bene avessero fatto i primi editori a soprassedere o fra gli entusiasti pronti a ricordare l’enorme successo, l’etichetta di cult e un premio Pulitzer. Quello che so è che vi confronterete con una esperienza di lettura che non lascia indifferenti, ed è più di quanto si possa dire di tanta, troppa carta stampata.

Ahia! – Riccardo Zanotti

Considerata l’assoluta crush adolescenziale che mi è presa per i Pinguini Tattici Nucleari, inclusa una serata in cui San Siro mi è sembrato più bello, emozionante e coinvolgente che mai, la vera sfida sarà quella di recensire “Ahia” senza citare neppure uno dei miei testi preferiti del momento.

Cominciamo dalla base: Riccardo Zanotti, anche noto per essere il frontman dei Pinguini, è una penna di assoluto livello. Ho scelto l’ausiliario con attenzione perché qui non tratta di “avere” una bella scrittura: qui si tratta di essere abitati da una capacità rara di gestire (giocare) parole, ritmo, punteggiatura, mettere tutto ciò a disposizione di una trama solida e catturante e intrecciare un dialogo con il lettore. “Ahia” è così, una storia raccontata davanti a un pinot grigio ghiacciato, con un sorso di Cognetti, qualche retrogusto di Benni (il gatto!) e alcune cose che mi hanno ricordato Tibor Fisher, che molto ho amato.

“Ahia” contiene un mondo: contiene caratteri e sentimenti, un paesino e la sua atmosfera, vento e pioggia, “smack”, un gatto che è ogni gatto, caratteri spigolosi, ricordi, incertezze, sorrisi che allontanano la morte, paure.

Li contiene perché i libri “in fondo sono solo scatole / Dove la gente si rifugia quando fuori piove”.

Mannaggia, ci ero quasi riuscito.

Riassumendo
  • 9/10
    Racconti di una estate di lettura - prima parte - 9/10
9/10

Quarta di copertina

Racconto di una estate di letture (prima parte): La torre di un thrillerista coreano, La Banda di idioti di Toole direttamente dalla lista dei 1001 libri da leggere e Ahia!, il romanzo (bello!) di Riccardo Zanotti, alias il frontman dei Pinguini Tattici Nucleari

Rispondi