Come spesso capita quando hai tra le mani un classico gigantesco della letteratura, le vene tremano alla sola ipotesi di “scrivere una recensione”: la distanza fra chi scrive su una paginetta web e chi ha segnato la storia del nostro pensiero è siderale, spaventosa, insuperabile.
Qualche giorno fa, però, dopo la rilettura di alcune pagine mi è venuto un pensiero strano: Google in certi casi è un amico, e dalle profondità del web sono emerse queste parole di Max Brod, che di Kafka fu amico e biografo (e a cui si deve la pubblicazione di alcune opere postume):
«Quando Kafka leggeva i suoi scritti agli amici, quell’umorismo diventava particolarmente manifesto. Ridemmo, per esempio, senza freno quando ci fece sentire il primo capitolo del Processo. Egli stesso rideva talmente che per qualche momento non era capace di continuare la lettura».
Fermi tutti.
Non sarà io a ribaltare decenni di interpretazioni del romanzo: è innegabile che il continuo riferimento ad un reato non commesso né esplicitato tolga il respiro, così come il ricorso a espedienti lessicali (i termini giuridici in un testo che gode di una scrittura certamente meno complessa di molte altre) contribuiscono a creare una situazione di angosciosa ansia totale.
Ma rileggendo Il processo in questi giorni, mi sono reso conto di aver sempre sottovalutato un aspetto: Josef K. non rinuncia mai a proclamarsi innocente, cerca più strade, nonostante tutto punti davvero contro di lui. Cerca un avvocato, poi lo licenzia, prova a capire, si informa, entra persino – rocambolescamente – in chiesa. In fondo non molla mai, ma noi notiamo solo il suo annaspare, il suo lento precipitare verso la fine, e non badiamo a quanta Vita c’è in chi ci prova.
E di questo equivoco, forse Kafka rideva davvero.
SCHEDA LIBRO
Autore: Franz Kafka
Titolo: Il processo
Editore: Adelphi
Pagine: 329
ISBN: 978-8845934674
PROGETTI
La lista dei 1001 libri da leggere
n. 903 – Il processo, Franz Kafka
Letti: 119
Da leggere: 882
Quarta di copertina
«Ciò che distingue Il processo e Il Castello è che, dalla prima all’ultima riga, si svolgono sulla soglia del mondo ulteriore che si sospetta implicito in questo mondo. Mai quella soglia era stata una linea tanto sottile, che si incontra ovunque. Mai quei due mondi si erano tanto avvicinati, sino a dare l’impressione terrorizzante di combaciare. Di quel mondo ulteriore non sappiamo dire con sicurezza se sia buono o malvagio, celeste o infernale. L’unica evidenza è qualcosa che si impone e ci avvolge.» (Roberto Calasso)