C’è una canzone che dovreste tenere in sottofondo mentre leggete. Sebbene gli autori e persino Wikipedia abbiano in tempi diversi sostenuto il contrario, è diffusa l’opinione che “The Sound of Silence” del duo statunitense Simon and Garfunkel sia stata composta riflettendo una sorta di trauma collettivo americano nei mesi – diremmo anni – successivi all’assassinio di J.F.K. Sono certo che la conoscete bene: voglio dire, è nota persino a me, che son cresciuto a cantautori italiani, guadagnandoci in eloquio e influssi letterari.
E mentre vanno nell’aria le prime note di “The sounds of silence”, guardo la copertina di “Dallas 22 novembre 1963” e mi sorprendo a pensare alle mille immagini che hanno accompagnato nel nostro immaginario l’assassinio di JFK. Da quelle più truci – l’impatto del proiettile, Oswald freddato all’interno di un cordone di polizia – a quelle più commuoventi: l’urlo di Jackie, i piccoli Kennedy che salutano militarmente la bara del padre.
“Hello darkness my old friend,/I’ve come to talk with you again/Because a vision softly creeping/left it’s seeds while I was sleeping”
Einaudi ha scelto di mettere in copertina un ritratto di Jackie molto stretto: quello che fotografi ed appassionati definiscono pomposamente “primissimo piano”, componendo un fotogramma che sia del tutto riempito dal soggetto ritratto. Una scelta particolarmente felice, alla luce di queste 180 pagine in cui una sorta di lente di ingrandimento si posa a pochi millimetri da protagonisti, spettatori, semplici testimoni. Il racconto di quel giorno diventa vero protagonista, dalla casualità che trascina Zapruder in strada con una cinepresa amatoriale – destinata a impressionare i due minuti più discussi e riprodotti della storia moderna – al poliziotto motociclista nel corteo, che lascia inavvertitamente il microfono acceso e registra, probabilmente, una successione di colpi di arma da fuoco provenienti da diverse direzioni.
“And the vision that was planted in my brain/still remains, within the sounds of silence”
Adam Braver non si preoccupa minimamente di intessere teorie o di lanciare strali complottisti. Si cala, con semplicità ed umanità, nei pensieri e nei ricordi di chi c’era, romanzoli appena. Braver è con Jackie che non ha intenzione di abbandonare il feretro del marito sull’Air Force One, e che finalmente accetta di farsi ritrarre al fianco del neo-presidente Johnson, e ci va con un abito rosa macchiato di sangue e di cervella. Ed è con i medici che eseguono l’autopsia, rimbalzando senza sforzo apparente da una lirica basata sull’emotività al freddo linguaggio scientifico di un coroner.
And in the naked light I saw/ten thousand people maybe more/people talking without speaking/people hearing without listening
L’ho trovato un buon libro, con pagine che volano via come la Continental lanciata a tutta verso l’ospedale ed altre su cui soffermarsi, scandagliando senza voyeurismo i pensieri di piccoli o grandi uomini che erano lì. E se in Italia dovessimo deciderci a pubblicare gli altri tre testi a sfondo storico di Braver, che ho potuto assaggiare in lingua originale spiluccando qua e là sulla rete, beh, io me li porterò a casa.
“people writing songs that voices never share/noone dare, disturb the sound of silence”
SCHEDA LIBRO
Autore: Adam Braver
Titolo: Dallas, 22 novembre 1963
Editore: Einaudi
Pagine: 177
ISBN: 978-8806193386
Quarta di copertina
I ricordi e le emozioni di quanti furono effettivamente testimoni di uno dei giorni più tragici della storia americana si giustappongono come in un puzzle che mai potrà essere completamente ricomposto.