Un’amica mi faceva notare qualche tempo fa che le mie letture duemilaventine mostravano un costante respiro storico: aveva e ha del tutto ragione, le pagine che mi hanno accompagnato in questi mesi – dal saggio vero e proprio al romanzo – hanno spesso avuto a che fare con la Storia. E io non so se questo sia dovuto al fatto che stiamo vivendo un anno che finirà certamente nei programmi affrontati alla maturità del 2117 o se, può semplicemente, sia il tempo che passa anche per me e che mi fa volgere più spesso lo sguardo indietro.

So per certo, però, che con “M. L’uomo della Provvidenza” di Antonio Scurati questa tendenza di lettore ha raggiunto probabilmente il suo apice.  

Una lettura lungamente attesa. Il volume precedente – M. Il figlio del secolo – mi aveva convinto enormemente, ed ero davvero curioso di verificare se si trattasse di un abbaglio dovuto a uno stile narrativo quasi inedito (i Wu Ming in un saggio di quale anno fa avrebbero parlato di New Italian Epic) e se potesse funzionare anche sul lungo periodo.

Lo affermerò più chiaramente che posso: fun-zio-na! Il racconto dell’Italia del 1925 – 1932 colpisce inevitabilmente per la sua contemporaneità e, raccontando gli anni della crescita del consenso, scolpisce in modo inequivocabile una tendenza nazionale che non ci ha certamente abbandonato nel 1945: la ricerca dell’uomo “risolutore”, non necessariamente “l’uomo forte”, ma la figura in grado di prendere in mano una situazione disastrosa assumendosi in prima persona e con pochissimi gregari l’onere di una risoluzione. Quante volte è successo e quante ancora accadrà.

Svelare il meccanismo – comunicativo, politico, addirittura corporeo o carnale, mi verrebbe da dire – che fanno scattare la ricerca ossessiva di un “uomo della provvidenza” è un regalo che Scurati ci fa, e che davvero non dovremmo lasciar cadere.

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