Quando, ormai un paio di anni fa, è uscito Vox – con una parallela campgna di guerrilla marketing anche ben organizzata – due forze trascinavano in senso radicalmente opposto le mie velleità di lettore forte: da una parte il carattere distopico del romanzo (mia passione non celata), dall’altra l’etichetta di best seller del momento che sempre mi respinge un po’.
Ha vinto la seconda e Vox ha aspettato un po’. Terminata la lettura una decina di giorni fa, posso serenamente affermare che avrebbe potuto aspettare ben di più (tipo per sempre).
Il romanzo presenta dei difetti strutturati imponenti: prima di tutto, non è che basti immaginare un futuro diverso (e tendenzialmente tragico) per raccontare una distopia! Come hanno ben dimostrato la Atwood (a cui Vox, mannaggia, viene persino accostato) e – in Italia – Tullio Avoledo (di cui grazie al Cielo mi sto godendo l’ultima uscita), la distopia racconta un contesto in cui si calano i personaggi, che sono in qualche misura “al servizio” della Storia che si intende raccontare.
In Vox – oltre a mancare del tutto una contestualizzazione storica o politica di come si sia arrivati a una nazione in cui le donne non possono proferire più di cento parole al giorno, con tanto di contatore al polso – dopo meno di sessanta pagine una Storia che poteva avere un senso narrativo cede il passo a un mappazzone (cit.) di vicende personali tendenti al banale assoluto, senza alcun colpo d’ala che aiuti il lettore a sopravvivere alle trecento e più pagine mancanti. Caratterizzazione dei protagonisti: zero. Introspezione: zero. Banalità a secchiate: tante.
SCHEDA LIBRO
Autore: Christina Dalcher
Titolo: Vox
Editore: TEA – SuperTEA
Pagine: 414
ISBN: 978-8804663195
Riassumendo
Jean McClellan è diventata una donna di poche parole. Ma non per sua scelta. Può pronunciarne solo cento al giorno, non una di più. Anche sua figlia di sei anni porta il braccialetto conta parole, e le è proibito imparare a leggere e a scrivere. Perché, con il nuovo governo al potere, in America è cambiato tutto.