C’è una parola che mi si affaccia nel cervello ogni volta che mi gusto un Chesterton, e questa parola è delicatezza.
Chesterton aveva un dono del tutto peculiare e di cui credo abbia avuto modo di ringraziarLo lungamente, dopo la dipartita dal mondo terreno: la capacità di dipingere con pennellate quasi eteree i suoi personaggi, e renderli più solidi della roccia. E ancora: la capacità di descrivere l’Uomo (non un uomo, l’Uomo) nelle sue piccolezze e nelle sue fragilità, senza per questo dare mai l’impressione di formulare un giudizio definitivo (sebbene potesse anche apparire caustico, chi ha letto ritengo che sappia). Gettando, ed è la sua caratteristica che me lo rende irresistibile, una luce sempre nuova e imprevedibile sugli eventi, anche quelli immaginati. Così – come capita in questo splendido Il Club dei mestieri stravaganti – un delitto non è mai un delitto (soprattutto quando uno sherlockiano co-protagonista vorrebbe renderlo tale), l’ordinario non lo è mai del tutto.
Ed ammettiamolo, una buona volta: non c’è nulla di più vero! La vita non è una concatenazione di fatti logici, la pura deduzione quasi mai è rappresentativa della realtà. E allora quanto è più bello vedere i nostri giorni attraverso gli occhi sognanti ed insieme concreti di uno scrittore semplicemente enorme!
Ogni particolare indica qualche cosa, certo, ma in genere indica la cosa sbagliata. A me sembra che i fatti indichino in tutte le direzioni, come i mille rami di un albero. È solo la vita dell’albero che ha unità e si innalza, solo il sangue verde che sgorga, come una fontana, verso le stelle.

Quarta di copertina
Ogni storia ruota attorno a personaggi bizzarri, con mestieri altrettanto particolari. Persone che si sono inventate – letteralmente – un lavoro, ma attenzione: per far parte del club, questi mestieri stravaganti devono essere la sola fonte di guadagno, e bisogna essere gli unici a farli «professionalmente».
E, più oltre, c’è Londra, descritta, a giudizio di molti critici, come poche altre volte nella storia della letteratura, un reticolo sordido di strette vie e angoli bui che lo scrittore amava profondamente.