Entro la fine dell’anno dovrò compensare con un testo sulla mia Trieste, perché la lettura di Alle porte della notte dell’ottimo Paolo Roversi – che segna il gradito ritorno del giornalista hackereggiante Enrico Radeschi – ha innalzato il mio tasso di milanesità a livelli raramente raggiunti.
Roversi ha l’innegabile talento di accompagnare il lettore in un sottilissimo equilibrio fra trama avvincente (e questa, credetemi, lo è, fino alle sue pagine finali) e una perfetta ambientazione che non è soltanto il luogo o i luoghi in cui si svolge l’azione: la Milano di Roversi è un continuo “ah, sì, ci sono stato”, “ehi, abitavo lì vicino!” ma anche “questo non lo sapevo e DEVO saperne di più” o “al prossimo rientro da lavoro scendo una fermata prima e vado a guardare quel palazzo”. E’ una successione di omaggi (Diabolik, Scerbanenco, …) che occhieggiano al lettore e lo fanno sentire parte di un’associazione, un gruppo, una società nel senso più nobile del termine.
Poi, certo, ci sono i personaggi e le loro evoluzioni nella serie; c’è il rapporto fra Radeschi e Sebastiani e il loro commuovente giocare a capirsi, c’è il Danese e una Milano oscura, c’è la delicatezza verso dei cagnolini-e-cagnolini che vorresti portare a passeggio fra dieci minuti.
Ma per me, che all’ombra del Duomo non sono nato, c’è soprattutto un senso di appartenenza che riscopro pagina dopo pagina.
Quarta di copertina
Una spettacolare rapina in via Montenapoleone – il salotto buono della città – dà il via a una nuova indagine che porterà il giornalista hacker Enrico Radeschi e il vicequestore Loris Sebastiani a scoprire un nesso con un’altra rapina milionaria svoltasi quindici anni prima nel Diamond Center di Anversa, i cui colpevoli non sono mai stati arrestati.