Mio fratello Luca ha qualche difetto (in particolare sul fronte capellifero) e molti pregi: uno di questi è di essersi più o meno sempre ricordato di me quando – da fotografo ufficiale di una manifestazione culturale, aggiungerei “e che fotografo!” – ha avuto davanti all’obbiettivo uno scrittore. Fra uno scatto e l’altro è sempre riuscito a infilarci un libro, ed ecco spiegato perché posso vantare alcune copie autografate che conservo con amorevole attenzione.
Alla collezione, si è aggiunto nel 2016 un romanzo di Yasmina Khadra: non conoscevo minimamente l’opera dello scrittore algerino trasferitosi in Francia e – per quella famosa lista di To Be Read che riempie gli scaffali e occlude la memoria – il suo “L’attentato” è rimasto (troppo a lungo) lontano dalle mie pupille.
E’ stato un peccato quasi mortale a cui ho rimediato nell’ultima settimana. L’attentato è un romanzo solidissimo e commuovente al punto giusto, capace di scatenare l’indignazione subito dopo averti provocato un brivido di emozione: racconta la storia di un uomo arabo naturalizzato israeliano che opera (è la parola giusta) a Tel Aviv come chirurgo, costretto quindi a subire una sorta di strisciante razzismo duplice. Da una parte la popolazione araba che lo vede come un traditore, dall’altra la società israeliana che non lo accoglie esattamente a braccia aperte. La situazione precipita dopo un tremendo attentato kamikaze: nell’ospedale in cui lavora viene portata anche la moglie, che porta i segni dell’esplosione e dell’evidenza di essere proprio lei l’attentatrice.
Dalla negazione alla consapevolezza, dalla tetra disperazione alla rabbia, il protagonista inizia un viaggio alla (ri)scoperta della moglie, delle sue motivazioni, di una felicità supposta che in realtà non era tale.
Una finestra sul Medio Oriente che prova a raccontare al lettore una realtà sociale e politica così lontana e costante da lasciarci a volte indifferenti. Ed è un romanzo che funziona, davvero funziona.