Per motivi che dipendono essenzialmente dal caso e un pochino dall’irresistibile attrazione che provo per i romanzi distopici, mi è capitato di infilare una bella doppietta nel giro di quattro giorni.
A cominciare da Miden, bella storia imbastita da Veronima Raimo, ambientata in un paese (forse una città, forse una stato) in cui si sono rifugiati cittadini del mondo in fuga dal Crollo, una crisi (probabilmente) economica che sottintende già nel nome una caduta – crollo, appunto – dei valori. A Miden vive un professore con la compagna incinta, che riceve la visita di una alunna con cui il docente ha avuto, due anni prima e quando ancora era definibile single, una storia. Storia in cui adesso l’ex studentessa intravede tutti gli elementi di una violenza, come in un #meetoo a scoppio ritardato. E’ così che si incrina l’Eden ed è così che emerge un interrogativo interessante e ferocemente inquietante allo stesso tempo: quando e quanto una società, anche idilliaca e utopicamente formatasi, può affrontare una crisi di coscienza individuale, e come? Giova certamente la forma narrativa scelta, con una alternanza fra le testimonianze dei due protagonisti, decisamente funzionale al romanzo: un testo che funziona – anche se ne ho letto critiche terribili – e che ha il merito di sollevare degli interrogativi.
Salutata la Raimo, ho preso tra le dita uno degli esordi letterari più convincenti del 2018: Orso Tosco con il suo Aspettando i naufraghi, che avevo adocchiato grazie a una presentazione su La Lettura e che ho avuto finalmente l’occasione di affrontare. Anche in questo caso non è chiaramente definito l’inizio della fine (e, se ci pensate, non lo è neppure in quel capolavoro che è La strada di McCarthy, quasi che l’indefinito abbia il potere di rendere più realistiche le nostre paure). Il romanzo di apre con una sorta di semi-orgia seguita da un suicidio collettivo e intreccia la vita di diversi personaggi, tutti ottimamente rappresentati, sullo sfondo del terrore suscitato dall’arrivo dei naufraghi (che, si facciano pace i salviniani di ferro, non sono gruppi di migranti in fuga). Con un finale che può sorprendere e – ancora – alcuni interrogativi aperti, su quanto è accaduto e su come potrà essere superato. Il pathos è al giusto livello, alcuni passaggi forse discutibili, ma il romanzo si fa leggere e trascina fino all’ultima pagina.
Ho intitolato “distopie”, ma forse quello che accomuna le fatiche letterari di Tosco e della Raimo è il non inquadrarsi in un genere: anni fa avremmo forse fatto riferimento alla New Italian Epic, oggi buttiamo un occhio a dopodomani e attendiamo di scorgere nuovi bagliori di letteratura nazionale.