Disclaimer: nessun Piccacciù (o come stracacchio si scrive) è stato molestato nella redazione di questo post.
Mi stavo interrogando sul modo migliore per raccontare di Pokemon Go e, complici il sole estivo a candela sul cranio e la mancanza di beveraggi, ho pensato ad uno sdoppiamento intervistatorio di personalità.
D: Posso dire che mi sembra una vaccata?
R: Puoi. Ma ora proseguiamo che ho già meno energia di Gattuso dopo la finale del 2006.
Ok, ok, sia messo agli atti che non ero d’accordo. Cominciamo dalle basi: perché un post su Pokemon Go?
Mettila così: se mi conosci un minimo (…), sai che diffido dalle affermazioni troppo condivise, e la critica continuativa agli zombie che giocano con questa app mi hanno convinto a provarla. Anche se…
Anche se?
Ammetto: la prima volta in cui ho visto quattro o cinque adulti intenti a lanciare palline virtuali verso mostriciattoli improbabili il mio pensiero è stato “non diventeremo mai una superpotenza”.
E poi?
E poi ho scaricato l’applicazione è ho provato a capirci qualcosa. Con uno scarsissimo risultato iniziale: ho scelto avatar e nomignolo a caso, convinto di poterli cambiare successivamente. Non è così, e quindi sto viaggiando per il mondo virtuale di PG con una adolescente biondina, carina, dal nome idiota e i capelli buffi. Vorrei sottolineare che C. ha una sua responsabilità in tutto questo.

Ok, è quindi hai iniziato a catturare animaletti
Detta così fa molto imbecille. In effetti si. E dopo qualche giorno di studio, vorrei far notare almeno tre elementi nondeltuttonegativi di Pokemon Go.
Treeeeeeeee?
Il primo: rispetto alle versioni del gioco più tradizionali (delle quali peraltro non so una cippa), Pokemon Go è più sociale: non isola il giocatore nel suo mondo fatto di un solitario Nintendo DS ma lo trascina fuori. Aggiungo che la cattura di un Pokemon non lo sottrae alla comunità dei giocatori, e che non é raro leggere in Rete di gente che si è conosciuta così, per aver condiviso un luogo di rifornimento pokemonesco.
Il secondo: Pokemon Go ti costringe ad andare a caccia di monumenti e altri luoghi di interesse. Anzi, per poterti rifornire di palline cattura-schifezze ti devi avvicinare a sufficienza a una statua, un murales, un punto significativo della città. Insomma, sebbene non mi azzererei a definire “reale” una app che ti costringe a lanciare una pallina contro una papera psichiatrica, è innegabile che Pokemon Go ti costringa – almeno per un secondo – ad alzare gli occhi dallo schermo verso il mondo che ti circonda. Mia vengono in mente almeno dodici possibili applicazioni per la promozione dell’arte e della cultura, a metà tra gioco e realtà aumentata.
Ho paura di chiederti il terzo…
Giusto, terzo motivo: davvero ci saremmo voluti perdere la possibilità di scattare immagini idiote con i Pokemon che interagiscono con l’ambiente circostante?