Chi è questo ragazzotto che esulta con la mazza da hockey in mano e la sigla USA portata orgogliosamente sul petto? E perché le tribune sembrano letteralmente esplodere? Questa va spiegata, che siate appassionati di sport o meno è una di quelle storie che vanno raccontate.

miracle on ice

E’ il febbraio del 1980: siamo in piena Guerra Fredda (e non è una battuta riferita al ghiaccio della pista…), il presidente americano Carter sta valutando la possibilità di boicottare i giochi estivi di Mosca in risposta all’invasione sovietica dell’Afghanistan. A Lake Placid si sta invece disputando la tredicesima edizione dei giochi olimpici invernali, lo svedese Stenmark, centrando il primo posto nello slalom e nel gigante., si conferma come uno dei più grandi sciatori di tutti i tempi, l’Italia si affida a poche gioie che arrivano dallo slittino. Ma quella edizione dei Cinque Cerchi sarà ricordata per quanto avvenne fra due nazionali di hockey caratterizzate da acronimi sulle maglie: USA vs. URSS.

Breve flashback: la nazionale sovietica e quella americana si sono incontrate in una amichevole pre-torneo qualche settimana prima, occasione in cui la formazione russa si impose 10-3 mostrando un livello di gioco ed una serie di individualità irraggiungibili per gli statunitensi. Tra le fila russe si contavano professionisti di talento ed esperienza, gli americani optarono per una formazione composta da soli giocatori di provenienza universitaria: un po’ come per le selezioni di pallacanestro che, fino alla straordinaria esperienza del Dream Team, non portavano alle Olimpiadi gli atleti della NBA.

Le due squadre si erano preparate per il match in maniera molto differente: forse un po’ presuntuosi i russi (che contavano un palmares di quattro medaglie d’oro olimpiche consecutive nell’hockey), decisamente più fisici i statunitensi, a cui l’allenatore Herb Brooks impose massacranti sessioni atletiche accompagnate da urla belluine “alla Sgt. Hartman” non appena uno dei suoi giocatori dimostrava di aver mollato per un attimo.

All’ingresso delle due squadre sul ghiaccio, un clima incredibile: le tribune vibravano di bandiere a stelle e strisce e ruggivano cori patriottici, al punto da dare vita al coro “U-S-A” che ancora oggi accompagna le esibizioni dei team americani. Il pubblico non si fece scoraggiare neppure dallo svolgimento della partita, che vide i russi andare ripetutamente in vantaggio (1-0, 2-1, 3-2) e gli americani inseguire, riuscendo ogni volta ad agguantare il pareggio rimanendo aggrappati agli avversari.

E’ qui che entra in gioco – e nella leggenda – il ragazzone là sopra. E’ italo-americano è ha un cognome che è poesia: si chiama Mike Eruzione, e quando scaraventa il disco del 4-3 alle spalle del portiere sovietico, sulle tribune si avverte davvero una colata lavica. Sorride persino coach Brooks (ed è una specie di evento), mentre gli Stati Uniti si preparano al più lungo countdown della storia dell’hockey su ghiaccio.

“Undici secondi, vi restano dieci secondi, stanno contando alla rovescia in questo momento… restano cinque secondi di gioco! Credete nei miracoli? Sì!”

Quella partita diventerà universalmente nota come “Miracle on Ice”.

Mike Eruzione smise di giocare a 25 anni, senza mai giocare nella NHL, il campionato professionistico americano: dichiarò che dopo una serata simile, qualsiasi manifestazione sportiva a cui avesse partecipato gli sarebbe sembrata priva di senso. Fu scelto come portabandiera americano per i giochi di Salt Lake City del 2002.

LINKOGRAFIA
Il minuto finale con la telecronaca originale (Youtube)
Il film tratto dall’episodio(Amazon.it)

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