Nel 1984 la Valle dei Templi – che di storia e di letteratura ne ha vista passare un bel po’ – vive un nuovo privilegio: le sue architetture sono percorse da uno dei più grandi scrittori del XX secolo, l’argentino Jorge Luis Borges.

Accanto a lui, in una di quelle splendide combinazioni che a volte la Storia ci sa regalare, c’è un gi-gan-te-sco fotografo italiano: Ferdinando Scianna, uno di cui – per dire – Sciascia ebbe a dichiarare: “È il suo fotografare, quasi una rapida, fulminea organizzazione della realtà, una catalizzazione della realtà oggettiva in realtà fotografica: quasi che tutto quello su cui il suo occhio si posa e il suo obiettivo si leva obbedisce proprio in quel momento, né prima né dopo, per istantaneo magnetismo, al suo sentimento, alla sua volontà e – in definitiva – al suo stile.

Il risultato è uno degli scatti più belli che io abbia mai visto, una fotografia che mi accompagna fin da quando – totalmente rapito – lessi per tre volte di seguito “La biblioteca di Babele” (se non avete mai letto questo racconto di Borges siete 1. pazzi 2. oggetto della mia invidia 3. autorizzati a interrompere la lettura di questo post e qualunque altra attività abbiate in programma nelle prossime tre ore).

La foto è questa:

Borges fotografato da Ferdinando Scianna
Borges fotografato da Ferdinando Scianna

Questa mattina mi stavo godendo con qualche giorno di ritardo l’ultimo Tuttolibri de La Stampa e, grazie ad una intervista allo stesso Scianna, ho finalmente compreso, con un paio di decenni di ritardo, che cosa mi ha commosso in quel bianco e nero. La lascio qui come un regalo, senza commento perché, una volta di più, ogni commento sarebbe del tutto superfluo.

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